Ripercorrendo la storia dell’evoluzione umana dalle prime forme di comunicazione sino ai recenti sviluppi tecnologici che hanno cambiato il sistema divulgativo globale questa serie di post nasce con l’intento di evidenziare la somiglianza che accomuna l’architettura e il lettering mediante un’indagine relativa alla struttura logica e alla metodologia scientifica e tecnica che caratterizzano il modo di pensare di un’epoca e ne contaminano l’apparato progettuale e pragmatico. Le due discipline, tendenzialmente concepite come parallele e slegate, hanno in realtà molti punti in comune.
Sebbene il risultato di questa relazione rivelerà in primo luogo una sostanziale analogia tra la forma delle lettere e la forma architettonica affermatasi in un determinato periodo storico, se non altro dal punto di vista dell’ideologia che ne sostiene l’impalcatura, lo scopo prioritario è quello di dare la possibilità di contestualizzare i caratteri che siamo normalmente abituati a vedere nella finestra testo di Word piuttosto che sulle insegne luminose dei negozi o sui prodotti di consumo, ad un preciso ambito socio-culturale e poter connotare una determinata forma dei valori che hanno concorso alla sua elaborazione.
Il lettering fa parte della cultura del visivo di un popolo esattamente come lo sono un quadro, una scultura o un’opera architettonica e per questo non può essere considerato meno importante. Questo fa infatti costantemente parte del nostro quotidiano, plasma il nostro immaginario, accompagna il nostro vissuto non meno di quanto fa uno spazio cittadino, una pianificazione urbanistica, un edificio. In altre parole la relazione che segue istituisce un confronto che si svolge sul piano dell’immagine e tratta per questo motivo di una lettera estrapolata dal suo contesto grammaticale e spogliata del suo significato più proprio diventando in questo modo una figura che si assume l’incarico di identificare la cultura corrente di una circostanza storica.
I parallelismi che illustrerò evidenzieranno effettivamente che:
All’archigrafia si deve l’onore di essere il primo prototipo di scrittura progettata, condivisa e resa fruibile alla popolazione in quanto collocata su elementi architettonici pubblici esposti alle masse. Le poche nozioni relative alle sue origini rendono difficile attribuirle un Natale chiaro e univoco ma quel che è certo è che l’archigrafia è la scrittura deputata a sfidare l’urto del tempo, al contrario delle calligrafie la cui durata è subordinata alla qualità e alla conservazione di supporti facilmente deperibili.
Si può ipotizzare che il momento storico che vide l’affermarsi di questa attività in bilico tra l’artistico e l’architettonico fosse il periodo di transizione dalla Roma Repubblicana a quella Imperiale, periodo di intensa attività di progettazione urbanistica fortemente sostenuto Cesare e completato dal successore Augusto. Con Augusto la città, che aveva ormai una popolazione di circa un milione di abitanti, necessitava infatti di un piano territoriale in grado di razionalizzare gli spazi cittadini per dare un senso e un ordine alle comuni attività commerciali e di aggregazione ma soprattutto per affermare la grandezza e il potere dell’impero. Prendono corpo, con queste pretese, un nuovo Foro di Augusto, il Foro Romano, il tempio del Divo Giulio, la basilica Giulia, la versione definitiva del Campo Marzio arricchito da edifici pubblici e monumenti e 82 santuari che ben fanno affermare al nuovo imperatore di aver trovato una città di mattoni e di lasciarla di marmo.
La monumentalizzazione della città proseguì sotto i successori di Augusto e ai numerosi e nefasti incendi che presero luogo a Roma nel 64 (questo per mano di Nerone), nel 69 e nell’80 seguirono i piani di ristrutturazione urbanistica approvati da Vespasiano, Tito e Domiziano ma è sotto il patrocinio di Traiano che si registrò la massima fioritura dell’Impero romano ed entro il II secolo Roma raggiunse la massima espansione demografica. La nuova condizione di benessere per la società romana vide l’affermarsi di una vasta classe media in grado di esprimere un proprio gusto anche in campo architettonico-artistico.
In questa fase la raffinatezza e l’eleganza tipica del gusto ellenico che aveva contraddistinto la produzione architettonica durante l’Età Augustea venne soppiantata in favore di una nascente arte romanica che diede finalmente il via a una produzione autonoma.
I rilievi della Colonna Traiana (Fig. 1) furono in tal senso uno dei capolavori non solo della civiltà romana, ma dell’arte antica in generale. Nei duecento metri di narrazione continua incisi sulla superficie della colonna sono narrate le due campagne daciche (101-102 e 105-107) in maniera semplice, obiettiva e dignitosa senza trascendere in elementi metafisici. Queste caratteristiche formali sono le costanti che caratterizzano tutta la produzione artistica, scultorea e architettonica dellepoca. I motivi tratti dall’immediatezza della vita -tratto che diverge dall’attitudine all’arte ellenistica- ritornano in molte opere volute da Traiano come nell’arco di Benevento del 114, dove per la prima volta compaiono in un monumento ufficiale i padri di famiglia comuni beneficianti dei sussidi della institutio alimentaria o della cancellazione dei debiti.
D’altra parte è da riconoscere come l’attenzione verso il prossimo potesse essere stata promossa dal diffondersi, già sotto Augusto, del Cristianesimo inizialmente soprattutto nei ceti più bassi e fra gli schiavi. Pur non avendo fonti certe relative all’incisività di questa emergente religione popolare sulla produzione filosofica influente a Roma in Età Imperiale si può quantomeno affermare che religione e filosofia trovarono un punto di incontro sulla concezione dell’uomo come soggetto libero e autodeterminante.
Se il Cristianesimo si fa promotore dell’uguaglianza tra gli uomini le epistole lasciateci da Seneca recitano: Che significa cavaliere, liberto, schiavo. Sono parole nate dallingiustizia. Da ogni angolo della terra è lecito slanciarsi verso il cielo.(Epistole, 31). Si evince dunque che lo stoicismo impostosi come ideologia maggiormente adeguata al nuovo ceto dirigente, basata sul rigore morale e sul senso del dovere, fosse l’atteggiamento necessario per preservare il decoro e l’onorabilità di un impero che vuole essere accolto come la culla della civiltà.
Dall’analisi svolta finora si deduce che i valori preservati durante l’egemonia romana ottimamente rappresentati dal mos maiorum inteso come il nucleo della morale tradizionale della civiltà romana intriso di senso civico, austerità dei comportamenti e rispetto delle leggi, volessero essere tradotti in forme artistiche caratterizzate da un rigore formale indispensabile al raggiungimento dell’armonia votata a testimoniare la magnificenza romana. La soluzione grafica che meglio risponde alle necessità messe in ballo da questo sistema culturale fa leva su uno schema progettuale contrassegnato da una forte geometria in cui il rapporto matematico rende indiscutibile l’armonia delle proporzioni. Si tratta banalmente della sovrapposizione tra un quadrato e un cerchio in esso iscritto (Fig. 2), ma la sua funzionalità è tale da essere stato ripreso innumerevoli volte lungo tutto il percorso evolutivo sia architettonico che alfabetico.
Indagando la simbologia classica si scopre che il cerchio rappresenta la perfezione e la compiutezza di ciò che non ha rottura e cesura; delinea lo stato della sostanza primordiale, impalpabile e trasparente, uniforme ed indifferenziata. Il cerchio, sprovvisto di angoli e di spigoli, equivale all’armonia che grazie all’assenza di opposizioni formali traduce l’indifferenziato in un’uguaglianza di principi. Per questo motivo si fa simbolo dello spirito e dell’immaterialità dell’anima traducendo iconicamente il concetto di dimensione intellettuale. La struttura quadrangolare rappresenta di contro la regolarizzazione di quanto, per sua natura, sarebbe rimasto informe e caotico. Il quadrato diventa così simbolo della definizione e della delimitazione tipica di ciò che è terrestre. Se il cerchio è perfetto, il quadrato è giusto, tanto da essere stato adottato dai pitagorici quale simbolo della giustizia; rappresenta quindi la Legge, come normatività interiore, codice esteriore e ordine concettuale. Tra le figure geometriche, come appare evidente, il Quadrato e il Cerchio si richiamano continuamente come fossero poli opposti destinati ad attrarsi: spazio e tempo, umano e divino, definito e indefinito si trovano dunque per la loro natura antitetica a venire di volta in volta interpretati da queste due figure geometriche agli antipodi.
I romani, coscienti di questo simbolismo primordiale, non poterono fare a meno di utilizzare a loro volta queste due forme nella progettazione delle rappresentazioni architettoniche del loro tempo le quali dovevano custodire ed effondere al tempo stesso il concetto di armonia e quello di supremazia.
Nascono sotto questo spirito opere dall’inestimabile valore storiografico tra le quali l’arco di Traiano di Benevento, arco celebrativo dedicato all’imperatore omonimo in occasione dell’apertura della via Traiana, che accorciava il cammino tra Benevento e Brindisi.
Facendo una semplice operazione di sovrapposizione tra lo schema progettuale presentato precedentemente, con l’aggiunta di qualche elemento volto a dimostrare la modularità geometrica e la precisione matematica del costrutto (Fig. 3), e l’arco traiano osserviamo immediatamente come sia verificata la tesi fin qui esposta. E’ particolare notare come nessun elemento sia lasciato al caso e persino la porta sormontata da un arco a tutto sesto sia perfettamente inscritta nella sezione centrale, una volta diviso il quadrato in tre parti uguali, e il vertice dell’arco corrisponda perfettamente al punto di intersezione tra le diagonali del quadrato il quale, assieme ai punti di intersezione dati dalle linee verticali e quella orizzontale, definisce il passaggio della circonferenza tagliata a metà proprio dalla linea orizzontale di cui sopra.
Le lettere scalfite nel marmo nell’iscrizione sovrastante godono del resto della medesima matrice progettuale.
I primi studi relativi alla geometria di questa forma di scrittura risalgono però allepoca rinascimentale nella quale vennero ripresi molti dei temi propri dell’arte romanica con la volontà di giustificare e dare un ordine ponderato all’armonia mai teorizzata in precedenza di queste forme.
Secondo la categorizzazione di Aldo Novarese questi caratteri con grazie, nati come prodotto architettonico per le iscrizioni dei monumenti, rientrano nella famiglia dei Lapidari ed hanno origine da quella che viene definita come capitalis quadrata poiché l’alfabeto, interamente costruito all’interno dello stesso modulo, si presentava privo delle minuscole. Inizialmente non erano dotati di grazie che nascono dalla sola esigenza di tracciare con il pennello le lettere prima di scalfire la pietra. Oltre ad essere semplicemente incisi, i lapidari romani per grandi iscrizioni erano riempiti da lettere in bronzo, poi divelte durante il Medioevo e il Rinascimento dai Papi per ricavare il bronzo per fare armi. Esempi di ciò sono visibili nelle lapidi poste sopra gli archi romani dove rimane lo scheletro di ciò che era in precedenza. Particolare riconoscibile delle grazie è che terminano formando un angolo di 30° e la base, o vertice inferiore, è completamente piatta (Fig. 4).
Queste lettere saranno le progenitrici dei caratteri prodotti successivamente all’avvento della stampa e tramandate, per la loro bontà ed eleganza, sino ai giorni nostri.