Le risposte dei consumatori sono importanti in tutte le loro sfumature. Ma come valutare l’impatto delle azioni di marketing considerando i preziosi elementi che determinano le scelte delle persone? È possibile farlo andando oltre il marketing? Sì, e la risposta sta nel neuromarketing.
In un precedente articolo vi abbiamo elencato 5 ragioni per integrare il neuromarketing con il marketing, e oggi vi parliamo più nel dettaglio del percorso di evoluzione nella ricerca dedicata ai consumatori, che è sfociata nella necessità di un approccio di neuromarketing.
Le ricerche di marketing tradizionale, come è noto, sono improntate sulla razionalità degli individui e sui processi consapevoli che essi sono in grado di comprendere, analizzare ed esporre verbalmente. Interviste, focus group, brainstorming e questionari quantitativi non sono sufficienti per comprendere le dinamiche che determinano l’impatto di una comunicazione, sia essa una pubblicità o il packaging di un prodotto. Bisogna quindi introdurre nuove metodologie per valutare il mondo delle emozioni e dei processi impliciti.
Il marketing si basa sulla razionalità degli individui. Ma i processi impliciti? #Neuromarketing
All’inizio del millennio, il neuromarketing ha acquisito popolarità grazie al contributo di Read Montague (McClure e Montague, 2004), che ha condotto una serie di esperimenti che confrontavano le risposte dei consumatori rispetto a due grandi brand come Coca-Cola e Pepsi, utilizzando le tecnologie neuroscientifiche per studiare l’attività cerebrale al fine di confrontare le preferenze e le risposte dei consumatori riguardo ai due brand. Per approfondire, rimandiamo all’articolo su neuromarketing e brand engagement dove abbiamo raccontato il caso.
Da quel momento in poi, c’è stato un grande aumento delle applicazioni delle tecniche biometriche per scopi di marketing, alimentato dall’interesse delle aziende riguardo le potenzialità di tali metodologie per valutare l’impatto delle loro azioni, e fomentato dalle agenzie pioniere del settore, che promuovevano ricerche con strumentazioni sempre più affidabili e usabili.
Il primo esperimento di #neuromarketing: la percezione di Coca-Cola e Pepsi
Negli ultimi dieci anni, presso le aziende e le agenzie pubblicitarie si è rapidamente sviluppato l’utilizzo di metodologie biometriche e neurologiche (Fonte: ARF, 2011).
Questa diffusione è legata a diversi fattori, che sono stati indagati in un articolo dedicato al passaggio dalle ricerche di marketing tradizionale al neuromarketing. Riassumendo, si tratta delle seguenti:
I metodi tradizionali di ricerca non sono totalmente all’altezza di cogliere ciò che provano e pensano veramente i consumatori, soprattutto perché le scelte e i comportamenti degli individui sono fortemente influenzati dai processi impliciti, veloci, emotivi e automatici delle loro menti, colmi di pregiudizi culturali radicati nell’educazione, nella tradizione e nelle euristiche.
Molte aziende continuano ad affidarsi completamente a strategie e tecniche classiche:
Il limite principale è che esiste un’oggettiva impossibilità da parte dei soggetti a comprendere quello che accade in diretta nella loro mente. Le difficoltà che si incontrano:
Le ricerche di marketing non permettono di comprendere ciò che succede nella mente dei soggetti
Questi fattori intrinsechi alle indagini qualitative dell’interviste e dei focus group rappresentano dunque una sfida aperta per il Marketing e incidono sull’efficacia e sull’utilità delle informazioni ottenute tramite queste tecniche tradizionali.
Quindi, le pratiche di neuromaketing non considerano feedback o risposte verbali degli individui, ma studiano e analizzano semplicemente le risposte automatiche dei soggetti, neuronali e fisiologiche, nel momento dell’interazione con lo stimolo, prescindendo quindi dai filtri della razionalità e desiderabilità sociale, senza l’obbligo di porre le giuste domande ed elaborare questionari di dubbia attendibilità.
Per questo è più utile misurare le reazioni più “intime” dei consumatori durante l’interazione pratica con il prodotto o la creatività, e valutare cosa si riscontra nel cervello del soggetto, processi esplicitabili e, soprattutto, processi impliciti. Ovviamente anche queste rilevazioni vengono accompagnate, prima e dopo le misurazioni, da domande e brevi interviste che servono come strumento di confronto tra ciò che i clienti dicono e ciò che essi “provano” nella propria mente.
Il valore aggiunto del #neuromarketing: misurare le reazioni più “intime” dei consumatori
Anche le misure e i dati raccolti con le tecniche di neuromarketing devono essere interpretate da esperti competenti in neuroscienze e marketing, e richiedono tempo e sforzo perché è proprio nell’interpretazione dell’interazione che risiede la complessità di tale disciplina.
Riguardo la selezione del campione di utenti ai test, gli studi dimostrano che sono sufficienti campioni di grandezza molto ridotta rispetto alle tecniche tradizionali, con un notevole risparmio di tempo e costi.
Le fasi iniziali del processo creativo, sia esso di progettazione prodotto, packaging, video, sito, sono cruciali e applicare efficacemente tenciche di neuromarketing in queste fasi può fare una sensibile differenza, permettendo di identificare opportunità e/o punti di debolezza nei momenti chiave di incontro tra brand e consumatori.
Concludendo, quindi: le ricerche di marketing neurologiche fondate sulle rilevazioni delle risposte biometriche hanno un potenziale enorme nel fornire nuove importanti intuizioni per la valutazione di spot pubblicitari e di altri stimoli di varia natura. Il punto di forza del neuromarketing è la capacità di rivelare le reazioni emozionali implicite meglio di ogni altro metodo ad oggi disponibile nello scibile scientifico.
Bibliografia: