Quando un cliente si rivolge a noi la prima volta, lo fa pensando di trovare la soluzione ad un problema esistente. Quando un cliente torna da noi la seconda, terza, quarta volta, e instaura con TSW una relazione che dura e si rafforza negli anni, lo fa perché ha compreso che sì, siamo quelli giusti per capire come risolvere un problema esistente, ma siamo soprattutto quelli che possono evitare problemi futuri, siano essi legati a prodotti o servizi, fisici o digitali.
Lo facciamo senza misteri o ricette segrete: da un lato, attingiamo all’antica prassi artigiana, che vedeva i produttori di un bene progettarlo insieme al cliente finale, misurando ogni intervento o modifica sulle reali esigenze del proprio acquirente; dall’altro, applichiamo competenze e strumenti scientifici che oggi, grazie alla tecnologia e alle capacità di chi li adopera, ci permettono di misurare con obiettività la qualità dell’esperienza che, insieme a chi si affida a noi, offriamo alle persone.
Un approccio che l’azienda De Longhi ha compreso e fatto proprio, scegliendoci da anni come partner di una sfida ambiziosa: il “Better Everyday” del loro slogan aziendale, obiettivo che puntiamo a raggiungere lavorando ogni giorno fianco a fianco. Il punto di partenza è sempre lo stesso: le persone, i nostri clienti finali.
Tra gli strumenti che chi si occupa di experience design utilizza, la ricostruzione della user journey, anche nota come “experience journey”, permette di rappresentare, fase dopo fase, le attività che un ipotetico cliente finale svolge nella sua esperienza di utilizzo di un prodotto o di fruizione di un servizio. Tutte le fasi dell’esperienza utente vengono poi rappresentate lungo una linea temporale all’interno di una customer journey map.
Si tratta di uno strumento senz’altro utile ma con un potenziale spesso inespresso: perché “ipotizzare” il vissuto di un cliente finale, quando possiamo andare alla fonte per raccogliere informazioni reali? Perché ricostruire a posteriori l’esperienza utente per risolvere criticità che si potevano evitare coinvolgendo le persone fin dalle prime fasi di progettazione?
La user journey inizia, difatti, quando il prodotto ancora non esiste. Basti pensare che l’elettrodomestico dal design innovativo, dotato delle più recenti tecnologie e supportato dalle migliori attività di marketing non supererà mai il vaglio di un utente che, nell’utilizzarlo, vivrà un’esperienza negativa; è proprio per questo che è necessario invertire il flusso progettuale, ri-partire dalle persone e dai loro bisogni, ancor prima che il progetto o servizio veda la luce.
L’experience design, inteso come la progettazione di una user experience che sia davvero di qualità e valore per chi la vive, sta tutto qui.
La nostra user journey inizia con l’analisi di bisogni e motivazioni. Secondo la psicologia, il “bisogno” è la mancanza totale o parziale di qualcosa che è importante per la persona. Se è evidente che non tutti i bisogni sono uguali, è altrettanto chiaro quanto incidano fortemente sulle motivazioni a comportarsi in un determinato modo.
Nonostante siano queste le premesse, purtroppo, è la ricerca del controllo della motivazione ciò che guida, ancora oggi, la maggior parte delle aziende nella progettazione di prodotti e servizi.
Creare una motivazione a tavolino è, però, un’attività estremamente complicata. Le leve motivazionali passano attraverso dinamiche inattese, difficili da spiegare e soprattutto molto ostiche da prevedere, il che rende quasi impossibile attivarle al bisogno.
Ad esempio, è noto che un certo tipo di notorietà, che riguardi un servizio o un prodotto, impatti sulla desiderabilità sociale dello stesso. Per riuscire a creare quel “certo tipo” di notorietà, tuttavia, non è sufficiente tempestare i potenziali utilizzatori di pubblicità.
Allora, cosa fare?
Forse, non è necessario “creare un nuovo bisogno per ottenere la motivazione”. Forse, è più efficiente comprendere un bisogno che è già presente e provare a soddisfarlo, chiedendo alle persone qual è la user experience che si aspettano e che ritengono positiva.
Un approccio che è anche una sfida continua, che ci impegna tutti i giorni, ma che è, allo stesso tempo, l’unica modalità che ci permette di avere (e offrire a chi si affida a noi) più garanzie.
Soddisfare i bisogni delle persone significa mettersi al loro fianco nel tentativo di migliorare, un passo alla volta, la loro quotidianità. Significa uscire da quella logica di mercato che considera l’acquirente come un obiettivo da raggiungere (o colpire) e scrivere assieme alle persone la soluzione dei loro problemi.
Coinvolgere i futuri utilizzatori dei prodotti, fin dalla fase di progettazione e prototipazione, e riconnetterli con le aziende che quei prodotti li creano, è il nostro modo di fare experience design.
Non solo: è l’unico modo che le aziende hanno per fare la differenza nella quotidianità dei propri clienti, senza farsi guidare solo da obiettivi di business. Gli obiettivi di business arriveranno perché, semplicemente, le persone, da sempre, ripetono ciò che le fa stare bene e, inconsciamente e non, tornano dove hanno vissuto una customer experience di qualità.
Questo è l’impegno che TSW ha preso con De Longhi: ascoltare e interpretare i bisogni del pubblico, capire come stanno cambiando le aspettative dei clienti finali e cosa vorrebbero di diverso in ciò che già hanno o in ciò che ancora deve essere progettato. Insomma, aiutare De Longhi a migliorare la customer experience dell’utente finale nella quotidianità, giorno dopo giorno, proprio secondo quel “Better Everyday” che abbiamo fatto un po’ anche nostro.
Un approccio in cui crediamo da sempre e che amiamo raccontare perché abbiamo toccato con mano la soddisfazione di chi, dopo cent’anni di lavoro “vecchia maniera”, ha iniziato insieme a noi a progettare un futuro pensato davvero per le persone e i loro reali bisogni.
D’altronde, se oggi iniziamo a progettare ciò che vedrà la luce tra un paio d’anni, su cosa volete che poggi questo progetto? Sull’intuizione di ieri, o sui desideri di sempre?