Il community manager? È un esploratore.
Per comprendere le community social bisogna essere curiosi, pervasi dal fuoco sacro della scoperta, aperti alla contaminazione e alla diversità di linguaggi e culture. Immaginatevi armati di taccuino, bussola e borraccia, mentre esplorate nuovi mondi, incontrate fauna e flora mai viste prima e ascoltate suoni inediti. Siete voi, la vostra conoscenza e una landa sterminata della quale distinguete a fatica i confini. Il brivido della novità e il timore dell’ignoto sono i vostri compagni di viaggio.
Tranquilli, non siete soli in questa spedizione misteriosa. C’è una luce che illumina il vostro cammino di esploratori digitali. Una stella che orienta i vostri passi dall’alto. Questa stella è la parola “comunità”, altamente evocativa e dal suono ancestrale. Da un lato trascina nel passato, ai tempi delle tribù preistoriche, e dall’altro riporta al presente delle vaste community virtuali diffuse nel mondo globalizzato. Il termine “comunità” è potente: evocare simultaneamente l’intima condivisione tra pochissimi uomini e l’estesa comunanza tra molti, non è cosa da poco. Per questo vale la pena di sviscerare il significato del termine, prima di salpare alla volta di nuovi mondi.
Spulciamo assieme una delle definizioni del termine “comunità” che ci offre il dizionario Treccani: “Insieme di persone che hanno comunione di vita sociale”. Elemento centrale della community (per dirla all’inglese) è la “comunione” di attività tra individui che vivono assieme, con valori, bisogni e routine condivise. Questa definizione generale va oggi declinata nel Web. Un mondo con regole particolari, dove le differenze tra individui si appiattiscono o amplificano a dismisura a seconda del contesto. Un mondo dove stiamo tutti sullo stesso piano, almeno formalmente, dove abbiamo tutti lo stesso diritto di parola e i medesimi strumenti per esprimerci: parole, immagini, foto e video.
Le community digitali, prima della comunione di passioni, idee, desideri e valori, sono tenute assieme da questa cassetta degli attrezzi condivisa. Chiunque dotato di pc, tablet o smartphone, può interfacciarsi nella rete con le medesime possibilità espressive, secondo una specie di “democrazia comunicativa”. Nel web lo status sociale sfuma e l’individuo è tale in quanto dotato di uno spazio indefinito che è concesso indistintamente a tutti gli internauti. Chiunque tra noi può crearsi un profilo social, aprire un blog o un sito. Chiunque può mandare mail, messaggi via chat o condividere un contenuto col resto del globo. In questo scenario che stravolge le regole classiche di interazione tra le persone, secondo nuovi paradigmi, si inseriscono le community social nate nel web.
Ci accade ogni giorno. Viviamo in uno spazio comune dove dialoghiamo con un numero indefinito di persone, ci facciamo largo tra contenuti di ogni tipo e siamo invasi da una dose stellare di informazioni. Eppure, nonostante l’immensità della piazza virtuale, quello che ci interessa davvero è trovare una nicchia dove sentirci a casa. Un luogo dove riconoscersi negli altri, nelle loro esperienze, idee e valori. Vogliamo trovare un porto sicuro, dove approdare nel corso delle nostre scorribande tra i sette (mila) mari dell’internet e la routine casa-lavoro.
Le community nate su Facebook hanno questa esatta funzione: sono dei porti franchi. È un po’ come andare al locale che ci piace tanto, dove sappiamo che saremo ben accolti dai proprietari e incontreremo un clima amichevole. Ci saranno familiari le persone, i loro discorsi, i comportamenti, persino le loro battute. Troveremo uno tono di voce e un ambiente caratteristici, che saranno apprezzati e supportati da noi e dagli altri avventori. Questi luoghi di aggregazione, come per le comunità fisiche, nascono spesso in maniera spontanea. Tutto parte dal semplice desiderio di condividere e raccontare qualcosa con gli altri. I fondatori sono amici reali o virtuali, che decidono di seguire un’intuizione. Aprire una pagina o un gruppo su Facebook non è complicato o costoso: bastano tempo, idee e dedizione. E i risultati possono essere davvero notevoli.
I social network hanno potenziato enormemente il concetto di aggregazione tra gruppi omogenei di utenti inaugurato dai forum. La parete gerarchica che divideva utenti e moderatori si è affievolita, e lo spazio comune si ampliato in tutti i sensi. Non c’è più la necessità di seguire una laboriosa procedura d’iscrizione, come accadeva un tempo: è sufficiente seguire una fan page con un click per visionarne i contenuti e condividerli o discuterli in tempo reale. O in alternativa basta rispondere a poche semplici domande per entrare in un gruppo. Questa facilità di accesso spinge alla nascita spontanea di micro community da un lato, e dall’altro permette ai membri di contribuire attivamente allo stile comunicativo di pagine e gruppi. I gruppi, forma più snella di agorà alternativa ai vecchi forum, identificano delle comunità ristrette e ben precise di persone che aderiscono a precisi interessi. Recentemente Facebook ha deciso di dare sempre più risalto ai contenuti generati e condivisi dai membri dei gruppi, proprio per il senso di appartenenza diretta e per l’elevato valore degli stessi per gli utenti iscritti. La presunzione che alimenta questa scelta è che un iscritto abbia maggiore interesse nel visualizzare contenuti provenienti dai gruppi ai quali si è volontariamente iscritto, piuttosto di essere sommerso da altri contenuti verso i quali nutre un interesse ben inferiore.
In effetti, spesso sono proprio i fan delle pagine e i membri dei gruppi a definire le tendenze, gli argomenti di discussione, i tormentoni da lanciare, gli spunti editoriali da seguire. I moderatori hanno un rapporto di contaminazione molto più stretto con gli utenti, e lo user generated content (i contenuti creati dagli utenti) imprime una forza d’inerzia superiore rispetto al passato al potenziale espansivo di una community, per via della rapidità di condivisione e della “viralità” dei contenuti diffusi.
Questi contenuti emergono e prendono il volo nelle bacheche, si espandono liberamente di social in social, oltre che nelle chat istantanee, imboccando strade imprevedibili. Grazie alla nuova impostazione delle community nate nei social, si crea una specie di coscienza collettiva che sostiene un’idea, un modo di pensare, una piccola mania e la alimenta grazie al contributo unico dei suoi sostenitori. Nei social si polarizzano tante pagine quante sono le passioni e gli interessi delle persone. C’è un intero universo composto da micromondi che riassumono le tensioni dell’animo umano, dalle più puerili alle più viscerali.
La pagina Facebook “Feudalesimo e Libertà” è uno degli esempi più interessanti di Community Social nate spontaneamente. La pagina è frutto del guizzo goliardico e creativo di alcuni ragazzi che, come dicono loro stessi, sono stati fulminati dall’idea di immaginare un ritorno della cultura medievale ai nostri tempi, per ripristinare l’ordine dato dalla rigida gerarchia feudale e raffreddare i bollenti spiriti caldeggiati dalla la società capitalistica moderna.
La pagina adotta un tono di voce che scimmiotta la lingua degli scrivani medievali ed espone ogni elemento di attualità alla pubblica gogna con irriverenza. La realtà contemporanea viene filtrata attraverso usi, costumi e abitudini vigenti nell’età di mezzo: le invasioni dei mori, la castità come virtù divina, le giostre tra cavalieri, il cerusico di professione tornano a fare capolino nel nostro mondo, proposti con grande ironia e punte notevoli di sarcasmo. Specialità della casa di FeL sono gli interventi inreal-time: ogni accadimento di attualità o trend comunicativo che infiamma il web viene inglobato e tradotto secondo i crismi comunicativi “dello imperatore”, con risultati a volte pregevoli.
Feudalesimo e Libertà è diventato punto di riferimento per chi ama l’umorismo di qualità e la satira, ma anche per chi apprezza gli scherzi colti e la storia, e ha un pizzico di nostalgia per le epoche passate. La pagina ha saputo costruire col tempo un suo stile caratteristico e immediatamente distinguibile, sia per linguaggio che per impostazione visiva. La sua Brand Identity si è delineata in maniera precisa e chiara tra gli internauti, e il passaggio alla partecipazione ad eventi e al lancio di prodotti di abbigliamento a tema, è stato breve. Il successo delli sodali di Fel è nato per caso, ma è certo meritato vista la passione e la creatività con la quale continuano ad allietarci ogni giorno grazie ai post condivisi nella loro pagina.
“In futuro tutti saranno famosi per 15 minuti”. La presunta paternità di questa frase, assegnata all’artista Andy Warhol, l’ha resa emblematica. Ma l’iconico Andy non poteva proprio immaginare che, con l’avvento dei social, tutti avrebbero potuto catturare il proprio momento di celebrità in un singolo istante, grazie a una manciata di pixel.
La pagina Facebook “Commenti Memorabili” ha questo intento: catturare con uno screenshot i commenti più ironici, sarcastici, spettacolari e irriverenti pubblicati dagli utenti nei social network, per condividerli ad imperitura memoria. Immaginiamolo come una specie di “safari” fotografico perenne, nel quale ci addentriamo tutti in maniera più o meno consapevole. Il popolo dei social network, infatti, non dorme mai: pubblica, condivide, esprime giudizi e, soprattutto, commenta senza sosta.
Anche in questo caso la pagina è nata spontaneamente, spinta dall’intuizione di un ragazzo fulminato da una chimera. Perché non dare il giusto risalto ai commenti più geniali ed impattanti, altrimenti destinati a svanire fulmineamente? A volte, infatti, sono proprio i commenti degli utenti ad essere più interessanti ed emozionanti rispetto ai contenuti condivisi. Così è iniziato un minuzioso lavoro naturalistico di osservazione e raccolta delle migliori tracce di genialità, ironia e ignoranza.
Anche in questo caso la pagina ha riscosso un grande successo, arrivando ad essere seguita da oltre quattro milioni di internauti. E come per Feudalesimo e Libertà, pure Commenti Memorabili ha assunto col tempo una sua identità precisa, sia nel tono di voce che nella veste grafica. Il passaggio da semplice pagina tematica su Facebook a vero e proprio Brand è stato naturale, ed ha portato a linee editoriali definite, supportate da un tone of voice coerente e immediatamente riconoscibile. Sono stati arruolati testimonial ed ambassador, ed è nata una linea di merchandise dedicata.
Il grande successo della pagina deriva anche dalla sua crescita “condivisa”. È bastata una fase iniziale di chiamata all’azione e di stimolo per ispirare gli utenti a scattare istantanee memorabili da inviare alla pagina. Il passaparola tra utenti, l’abitudine e il brivido dello scouting hanno fatto il resto. Condivisione, sensazioni positive, partecipazione attiva. Ecco i segreti dietro questo “memorabile” successo. Senza considerare la gara invisibile (qualcuno ha detto gamification?) per accaparrarsi lo scettro della memorabilità, oltre ai complimenti degli altri internauti.
È tutto sotto il nostro naso. Basta aguzzare lo sguardo: il mondo moderno gode di meraviglie e orrori in egual misura, che passano entrambi per l’appetito pantagruelico dell’internet e dei social, mai sazi di ammirare spettacoli tragicomici e smaccatamente “trash”. Sarà la società liquida, sarà l’incertezza dovuta agli anni di crisi patiti, sarà che l’evoluzione umana ci ha portati a sviluppare una morbosa passione per i contenuti al confine tra l’imbarazzo e il sublime, ma i momenti “trash” hanno preso sempre più piede nella cultura contemporanea.
La tv generalista ha un’esperienza decennale nella creazione e diffusione del trash. Probabilmente è una mossa necessaria per pasturare le coscienze anestetizzate da programmi dal dubbio peso contenutistico e dalle atmosfere progressivamente sempre più surreali. Fioriscono talk show e reality sui famosi, sugli chef imbufaliti, sulle isole, sulle fattorie e via dicendo. Ma anche l’Internet, specchio fedele di una società atomizzata e istrionica, ha accolto lo spirito originario del Trash, dal retrogusto agrodolce, inglobandolo.
Perché, dunque, non attingere da questo immenso bacino? Ed è questo che fa la pagina Intrashtenimento 2.0: raccoglie le piccole e grandi manifestazioni “trash” seminate per le vie del mondo (reale e virtuale) e le condivide seguendo filoni editoriali per casi specifici, ma anche ripescando perle dei tempi andati, in un continuum tra presente e passato molto apprezzato dai suoi tanti follower.
Intrashtenimento cavalca l’onda dei fenomeni “spazzatura” del momento, televisivi e non, dando ampio spazio soprattutto ai contenuti generati e condivisi dagli utenti e da altre pagine tematiche affini. Attività ulteriore e apprezzata è quella di attingere alle perle contenute negli archivi video del passato per riproporre le pietre miliari di genere e farle conoscere anche ai millennials. “Ahi ahi Signora Longari!”.
La pagina ci mostra che una scelta editoriale azzeccata può decretare il successo o il fallimento di una community nei social. Saper leggere le tendenze, saper decifrare il cosiddetto “sentiment” che anima il popolo degli utenti nella rete, è un mezzo potente per cogliere l’attimo e pianificare la produzione editoriale e l’impostazione della propria identità di brand. E questa regola vale a prescindere dalla volontà di monetizzare o meno le proprie intuizioni. Il bello dell’Internet, infatti, è che possiamo ancora permetterci di giocare, di sperimentare e gettarci in un’immensa centrifuga stracolma di colori, con una vaga idea in testa, solo per vedere come ne usciremo a fine lavaggio. I colori che ci copriranno da capo a piedi saranno un mix di gusti nostri e altrui, secondo combinazioni (im)prevedibili che seguono logiche in continuo mutamento. Gli appassionati della cultura trash sono tanti, si divertono a condividerne le istantanee, a catturarle e ad esserne inondati. Una community trasversale, con la voglia inesauribile di sdrammatizzare, perché a volte, non ci resta che ridere.
Avere trent’anni, al giorno d’oggi, significa essere ricompresi nella fascia demografica dei cosiddetti “millennials”. Ma come vive davvero un trentenne di oggi? La pagina La vita a 30 anni prova a dipingere un ritratto del trentenne moderno e sceglie la via dell’ironia di qualità per farlo. L’identikit del trentenne è quello dell’essere umano ormai rassegnato alla routine casa-lavoro, che teme le ore piccole la sera, brama la serata domestica con coperta e tv ed è soverchiato dai grandi e piccoli acciacchi fisici che gli ricordano che la fanciullezza è giunta al capolinea.
Trentenni come anziani precoci, quindi. Ragazzi che guardano alle mode del passato con nostalgia, si emozionano quando si parla di integratori a base di magnesio e potassio e girano con l’Oki come inseparabile compagno di viaggi. Un ritratto scherzoso che sta facendo breccia tra i nati alla fine degli anni ‘80, che si riconoscono in questa foto tragicomica di una generazione troppo vecchia per considerarsi ancora giovane, e ancora troppo giovane per essere definita davvero vecchia. Una generazione alla ricerca del proprio posto nel mondo, che trova rassicurazione in contenuti autoironici.
La pagina è nata da meno di un anno, ma conta già oltre 160 mila follower ed è in fase di crescita. Il tono di voce adottato, unito alla volontà di sdrammatizzare gli aspetti tragicomici dei trentenni, sta creando una bella cerchia di seguaci. Potremmo quasi definirlo un gruppo di mutuo soccorso tra coetanei, sempre pronti a scherzare sull’inizio della millantata e temuta decadenza psicofisica, tra meme, battute, contenuti nostalgici a tema e foto generate dall’utenza. Un esempio di come spesso sia sufficiente intercettare convinzioni, cultura ed esperienze condivise per stimolare l’aggregazione di una community nei social e l’interazione tra i suoi membri. Farsi forza, condividendo e stigmatizzando aneddoti di vita quotidiana, crea senso di appartenenza e trasforma un singolo post in un momento catartico.
Cosa ci insegnano questi esempi di community fiorite su Facebook? Che per fortuna possiamo ancora divertirci. Che la scienza delle community non è esatta, perché basata sugli esseri umani, che sono imperfetti per definizione. Le storie che abbiamo ripercorso ci mostrano che per lavorare con le community on line bisogna passare attraverso 3 step fondamentali.
Una community è attraversata da idee ed emozioni e per intercettarle occorrono orecchie tese e mente aperta. Per creare o animare una community bisogna armarsi di pazienza e girovagare come rabdomanti per individuare attorno a quali stimoli possono assieparsi i suoi possibili membri. Occorre osservare, ascoltare ed annotare i luoghi e gli argomenti che nascondono la preziosa linfa vitale della comunità. Tratteggiando gli attuali confini della mappa, ne individuiamo i luoghi di maggiore interesse e prevediamo quali aree potrebbero svilupparsi maggiormente. Dobbiamo quindi identificare:
Così facendo fissiamo un perimetro che ci consente di definire o alimentare una determinata community.
Ascolto e osservazione ci aiutano a fare una panoramica della community (se esistente) o a determinare le caratteristiche distintive che potrebbero costituirne l’ossatura. La mappa che abbiamo disegnato è la base sulla quale progettare e pianificare la comunicazione e la stimolazione della comunità, ma non basta. Per mantenere una community, esistente o neonata, serve empatia. Occorre entrare a contatto diretto con la tribù, viverci assieme. Come gli esploratori alla ricerca di El Dorado, è necessario abbracciare una nuova dimensione umana e condividerne sentimenti, abitudini, desideri e aspettative. Bisogna lasciare casa, abbandonare la zona di comfort e abbracciare nuovi linguaggi, usi e consuetudini. Bisogna vivere e “sentire” come un membro della community, per interpretare le sue reazioni e sviluppare attività in linea con il pensiero e la morale del gruppo. Occorre fare lo sforzo di mettersi nei panni degli altri, per vedere, ascoltare e parlare come farebbero loro.
Il nucleo di valori che sostiene una comunità non è però statico. Muta nel tempo, subisce contaminazioni continue ed evolve assieme alla tecnologia e alle irruzioni della realtà nel digitale, e viceversa. I membri delle comunità digitali hanno fame di essere costantemente al passo coi tempi, sono posseduti dalla “fear of missing out” che li divora e il loro codice identitario si presta a modifiche repentine. Per questo occorre anche saper anticipare i tempi, sperimentare e rischiare. Il brivido del rischio fa parte del mestiere per chi anima o gestisce una community. Non si può procedere sempre con gli stessi schemi comunicativi e protocolli d’ingaggio: la necessità di romperli arriva puntuale. Spesso è un’esigenza che emerge dagli stessi utenti e basta assecondarla. Altre volte, invece, occorre procedere per tentativi, tra errori e piccoli successi. Spesso bisogna abbandonare il sentiero conosciuti, per addentrarsi nella giungla ignota e lussureggiante.
I brand si sono affidati alle comunità da tempo per creare un bacino di clienti affezionati e propositivi. La rete, e i social in modo particolare, hanno portato il concetto di community ad un nuovo livello. Pensate di vivere la comunità digitali come un antropologo o come un esploratore mai pago di annotare, mappare e curiosare. Così facendo, adotterete lo spirito che vi farà apprezzare l’aspetto più affascinante e stimolante del vostro lavoro: le comunità evolvono e sono composte da esseri umani. Questo fatto ci impone di essere creativi, intuitivi e sensibili, per cogliere i tratti comuni alle persone, pur nella loro preziosa unicità. Occorre imparare ad essere portavoce di un’idea, svilupparla e sostenerla.
Nonostante il fine ultimo di questa attività sia la generazione di profitto, è il modo in cui ci arriviamo che è entusiasmante. L’interazione, la percezione, l’ascolto, l’immedesimazione. Sono tutte attività che ci ricordano di essere umani, nel mezzo del cammin di nostro ROI. La soddisfazione di vedere un’idea immessa nel circuito di una community camminare con le proprie gambe e imboccare strade imprevedibili, facendo da apripista per un nuovo mondo da stimolare ed esplorare, è una soddisfazione impagabile. Ma è ancora più grande la gratificazione che deriva dallo scambio e dalla propositività spontanea degli utenti, che si riconoscono e alimentano una comunità perché sentono di farne parte. Questo è forse l’aspetto più appagante e appassionante per chi indossa i panni dell’esploratore digitale ed entra ogni giorno a contatto con le community.