Anno 2019, capitolo I: Il viaggio

(commento musicale introduttivo) Il professor Smith fissava da almeno dieci minuti i tergicristalli che con quel tipico movimento ipnotico aprivano un varco di visibilità in mezzo a quella pioggia di fine inverno; «per me è così rilassante» ribadiva egli stesso ogni qualvolta i suoi colleghi accennavano invece alla loro insofferenza verso di essa.
Per lui al contrario era ispiratrice, dava il la a un crocevia di pensieri, spesso risolutivi di problemi che in una splendida giornata di sole non avrebbero trovato uno spiraglio di dipanamento.
Il ticchettio delle gocce che battevano sul tetto della sua Ford Mustang del ‘68, percepito dopo qualche secondo di silenzio interiore ovvero quando era subentrato quell’azzeramento, quello stacco mentale dal mondo esterno a quella intimità, lo aveva sprofondato in uno stato letargico per cui, salito in auto alle tre pomeridiane, e messo come di consueto in moto di gran carriera il potente motore V8, avrebbe potuto muoversi dal parcheggio del campus anche molti minuti dopo, da tanto veniva sopraffatto dal suo pensare.

Il suo udito voleva concentrarsi su ogni goccia al disopra dell’acciaio di prima qualità, qualità Ford degli anni gloriosi, mentre il visivo riusciva a distinguere il bagliore giallo proveniente da una delle finestre dell’edificio, un giallo acquerellato dalla pioggia e che pareva colare lentamente sul parabrezza; era Lucy, la sua collaboratrice, instancabile ricercatrice che lui, un po’ scettico inizialmente, aveva arruolato nella sua squadra. Quel flash aveva chetato per un momento il turbinio dei suoi pensieri; si era sempre compiaciuto della sensatezza delle proprie scelte, perlomeno quelle davvero azzeccate, e del proprio buon gusto, senza peraltro celarlo pubblicamente.
Aveva amato molte donne, e non aveva mai tagliato i ponti con nessuna, probabilmente per non ferirle; d’altronde lui si era fatto sempre ben volere da tutte, e forse proprio per questo non si era mai sposato. Era molto legato al denaro, al quale peraltro quando era giovane non aveva dato troppa importanza, forse per il fatto di essere stato ampiamente foraggiato dal padre, ricco imprenditore texano la cui raffineria riforniva lo stato con oltre 5 milioni di litri fra benzina e gasolio al giorno. Nonostante le generose “mance” di un padre che non era praticamente mai a casa, ben presto John, raggiunti i trent’anni, chiuse i rapporti con lui a causa delle troppe divergenze di opinioni sul suo futuro, che effettivamente dopo gli studi di psicologia fatti non poteva essere nel settore del petrolio; ma questo era inaccettabile per il suo vecchio.
Mancati i lauti sostentamenti di Smith Senior, Smith Junior non si rese conto di quanto velocemente i soldi potessero finire, specialmente se lo si disprezza il denaro in quanto concetto e in quanto oggetto; gli anni tra i 33 e i 43 furono veramente duri, durante i quali si dovette trasferire molte volte e adattare ai lavori più duri, anche a livello morale. Purtroppo quando i soldi non ci sono, inoltre, ci si indebita e si ha la sensazione di annaspare con l’acqua alla gola, e più sei povero e più sei solo. (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) Ad un certo punto pensi che non riuscirai mai a mettere da parte qualche spicciolo, sembra che questo concetto non possa mai decollare, è come se un elicottero non potesse alzarsi in volo in quanto per un errore umano (l’errore è quasi sempre umano, è difficile che la natura sbagli, o una macchina sbagli, in quanto lo sbaglio, l’errore, è dettato dalla coscienza di potere sbagliare) una fune d’acciaio della piattaforma della nave portaeromobili è rimasta agganciata; e questa fune ti riporta a terra bruscamente, ogni volta che tenti di alzarti. Ci vuole grande forza di volontà per alzarsi in quota. Se veramente non lo vuoi, o non rispetti il perché e i mezzi che ti servono per raggiungere l’obiettivo, non ce la farai mai.
Poi, solo poi, negli anni della maturità, capì come muoversi, per ritornare a galla, tant’è che con il passare del tempo poté anche permettersi di togliersi qualche sfizio.
La leva del cambio automatico era sempre su Parking, il pollice tardava a premere il pulsante di commutazione per passare a Drive, egli ripensava in particolare a quella telefonata, ricevuta mezzora prima nel suo ufficio. L’aveva presa direttamente lui, forse soprappensiero, mentre sfogliava il Times; stava leggendo una notizia di cronaca piuttosto curiosa avvenuta nella periferia di Boston, sua attuale città dopo aver vissuto per alcuni anni a Williamsport, una cittadina nel nord-est della Pennsylvania.
Il «Buongiorno Professor John Smith» presupponeva che l’interlocutore conoscesse bene i trascorsi in Italia del professore. Rispose allora in un italiano ormai un po’ arrugginito, lui raccoglieva sempre una sfida. L’italiano, quello vero, era di Milano, anch’esso un ricercatore dei processi cognitivi della persona, con una cattedra alla Bocconi. «John come stai? Sono Ludovico Macchi», e, più avanti nella conversazione, «dopo metà luglio riservati alcuni giorni di vacanza in Italia, ti ospito io, devo assolutamente farti visitare un nuovo laboratorio di ricerca sulla percezione e sull’esperienza del brand e del prodotto da parte della persona. Qui a Milano.».
I concetti espressi dall’amico milanese di lunga data, originario di Varese, risuonavano ancora nella sua testa, lo avevano ridestato, ormai fossilizzato nei propri studi consolidati e nelle proprie pubblicazioni, materia accademica molto apprezzata dalla critica e per le quali aveva anche ricevuto dei premi, nonché appunto una cattedra alla Boston University; ma si sa, le grandi menti non si riposano mai, o perlomeno, vorrebbero avere sempre nuovi sbocchi, nuovi stimoli.

***

Diede uno sguardo fugace al suo Vacheron Constantin; il tempo era semplicemente un’allegoria, nulla più, o un gioco, uno scherzo forse della mente, un’illusione che voleva allontanare da sé probabilmente per negare alla propria coscienza il fatto di invecchiare. L’orologio era più un oggetto distintivo, l’eleganza di un gesto; dare un’occhiata al proprio orologio da polso facendolo scivolare dolcemente fuori dal polsino della camicia estendendo con garbo il braccio e ripiegandolo con precisione a 30 centimetri dal viso, fermando con l’indice dell’altra mano il polsino a evidenziare bene l’intero quadrante, ruotando infine leggermente il polso in senso orario e in senso antiorario per dare luogo al gioco di riflessi e colori e poter apprezzare meglio l’oggetto, una gestualità di classe come annodare a Windsor una cravatta, o accennare a fare il gesto di sollevare il borsalino all’arrivo di una signora. In quel momento non c’era nessuno per strada che lo potesse notare all’interno dell’auto, specie all’imbrunire di quella fredda giornata di marzo e dietro a quei vetri annacquati; altresì, era slegato da impegni ad ore precise, ciononostante nervosamente gettò l’occhio sulle lancette, e d’impeto pensò: «Devo muovermi. Sì, devo muovermi, ed è meglio farlo subito. È quindi giunta quest’ora, ch’io salvi me stesso, ch’io salvi questa giornata, così simile alle precedenti, erosa dall’inedia di questa routine claustrofobica e castrante, archiviati i successi, di una vita che ormai rischia di essere solamente dietro alle spalle. Questa telefonata di Ludovico è forse l’ultima chiamata verso il cambiamento, verso la salvezza, mia ma non solo probabilmente. È l’ultimo treno, e va preso.»
Così, precipitevolmente, si affrettò a considerare l’importanza di quanto aveva da poco appreso al telefono. John Smith conosceva, era consapevole, dalla sua precedente visita in Italia, della vivacità mentale dei ricercatori italiani, capaci di scoperte in ambito scientifico che sovente hanno risuonato, e sono state decantate, a livello internazionale.
Mancava dall’Italia da trent’anni, l’aveva amata, profondamente, al tempo in cui era stato uno studente universitario in vacanza-studio alla Bocconi. (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) Era il gennaio 1990, il Belpaese prosperava a livello economico e commerciale in Europa, e gli italiani stavano bene. Lo Stato funzionava, grazie anche alla sovranità monetaria, che contribuiva ad un’economia solida (anche capillarmente fino alle singole amministrazioni provinciali, e comunali), dei meccanismi di governo abbastanza ben oleati, industrie in salute, servizi pubblici abbastanza efficaci, buone infrastrutture, trasporti efficienti, insomma una vita dignitosa per tutti, o quasi tutti. Rimembrava John, quei weekend milanesi; si alzavano presto, lui e il suo “camerata”, Ludovico, il sabato la mattina, e giù in strada alla fermata del tram, con portafogli gonfio alla mano. Direzione via Borgogna, a sud-est di San Babila.

Le usanze della Milano bene lo affascinavano, certi riti mattutini ad esempio, come il recarsi dal barbiere per una rasatura impeccabile, lasciando quei baffetti da sparviero tipici, che rendevano più adulti, e più affascinanti; il tocco finale era uno splash di lozione dopobarba rigorosamente italiana, o francese.

E che dire delle colazioni all’italiana, subito dopo il salone da barba? Al bar Locatelli in via Visconti di Modrone, cappuccino con cornetto e poi spremuta d’arancia, dopodiché alla cassa come un gran signore poter sfilare dal portafogli un biglietto da 100.000 Lire serie Caravaggio, prestigiosa banconota emessa dalla Banca d’Italia, stampata (su carta leggermente colorata ad impasto speciale filigranata) in letter-set e calcografia da matrice incisa a mano da noti artisti del bulino era già essa stessa un biglietto da visita dell’arte italiana.

Sbarbati, profumati e rifocillati si era pronti (e carichi) per un giro in Piazza del Duomo nella speranza che qualche bella universitaria lanciasse magari un’occhiata. La vita sorrideva loro e alle persone che vedevano lungo la strada, nei negozi, nei locali, e pareva che al disopra di quella leggera nebbia invernale il sole risplendesse come non mai di ottimismo e bonne chance.
Si stava bene, si era sereni, nonostante qualche sporadico fatto di cronaca nera, riguardante anche mafie locali e non; ad ogni modo il ’68 era lontano, gli anni ’70 e i sequestri di Vallanzasca pure, e da almeno un anno le Brigate Rosse non rivendicavano più omicidi, non se ne sentiva più parlare, e non se ne voleva più parlare, giustamente. C’era ordine, finalmente, c’era giustizia, la burocrazia funzionava, lo stato funzionava, i servizi al cittadino c’erano, abbastanza puntuali.
In carica a Palazzo Chigi c’era il Governo Andreotti VI, governo della DC, con Presidente del Consiglio il primo ministro Giulio Andreotti; Vicepresidente il ministro Claudio Martelli; all’Interno il ministro Antonio Gava; agli Affari esteri il ministro Gianni De Michelis; al Lavoro e Previdenza Sociale il ministro Carlo Donat-Cattin. Il Presidente della Repubblica era Francesco Cossiga.

Nell’estate di quell’anno inoltre l’Italia avrebbe ospitato i Mondiali di Calcio, una kermesse di grandissimo rilievo per la quale ci si aspettava, inoltre, una crescita del PIL di almeno 2 punti percentuali. (video)

(riprendere lettura) Lo spettro di una prima crisi (valutaria) economica europea nel settembre 1992 a causa dell’uscita della Lira e della Sterlina dallo Sme; il passaggio all’euro nel gennaio 2002; una seconda profonda crisi, finanziaria e industriale, questa volta mondiale, detta “Grande Recessione” (la più grande dai tempi della “Grande Depressione” del 1929, il crollo di Wall Street) databile come inizio all’agosto del 2007, e innescata dalla “Crisi dei subprime” e parallelamente/conseguentemente (in quanto connessi) dal quasi fallimento della AIG avvenuti a fine 2006 negli USA; l’Austerity del decennio successivo; gli anni attuali del Populismo. Questi spettri erano ancora lontani. Mai la gente si sarebbe immaginata una serie di sciagure a effetto domino che sarebbero scapicollate, franate come lava sopra l’Italia negli anni a venire.

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Ma questi dati, che fornisce puntuali chi vi narra, non erano così ordinati, precisi e completi nella seppur ampia cultura del professor Smith. Certe cose, le sanno solo coloro che vi vivono all’interno, ma le vedono con reale nitidezza solo coloro che vivono all’esterno di esse e vi si affacciano di persona.
C’è anche molta disinformazione: un belga, seduto in poltrona nella sua casa di Bruxelles sorseggiando un bicchiere d’acqua del rubinetto potrebbe avere un’idea di un certo tipo dell’Italia fornita dai mass-media belgi, più positiva o più negativa di quella che è la realtà, come viceversa un italiano, in piedi all’addiaccio a sorseggiare uno spritz Select con gli amici all’esterno di un osteria trevigiana, dando un occhio veloce ai titoli delle notizie che scorrono sulla TV presente all’interno del locale, potrebbe avere un’idea distorta di quella che è la realtà vera del Belgio, la cui capitale è una delle tre sedi del Parlamento europeo.
Forse è un bene viaggiare, e forse è un bene ricevere dei giudizi franchi e perspicaci dagli stranieri che visitano un Paese, sulle cose positive ma soprattutto sulle cose negative, così da prendere atto in definitiva di un problema e poter porre in essere un tentativo di cambiamento e miglioramento.
Probabilmente Ludovico Macchi, pur cosciente della decadenza su più fronti del proprio Paese, era stato assorbito da quella spirale di indifferenza e di ostinato rifiuto che qualcosa non andasse, per cui era subentrata una insana consuetudine ad abituarsi alle novità negative che apparivano quasi quotidianamente, tramutandole in una normale convivenza con un’entità estranea ma ormai familiare, alla stregua di un vagabondo trasandato che abbiamo accolto nella nostra dimora, e che ormai abbiamo accettato nostro malgrado di tenerci in casa in quanto non se ne vuole andare più via.
E’ l’orgoglio del cittadino italiano che manda avanti l’Italia, un Paese che nonostante tutto, risorge sempre.
L’italiano, non tende troppo a piangersi addosso sui propri errori, o sui raggiri che ha subito; pensa piuttosto a rimboccarsi le maniche e con umiltà cercare di lavorare per migliorare, per ritornare ad essere al livello degli altri, anche se un tempo magari era superiore agli altri.
Sicuramente, fino all’entrata in vigore della nuova nefasta valuta, l’euro, l’Italia si attestava su livelli alti un po’ in tutti gli ambiti di interesse, e in molti settori merceologici. Di questo Ludovico ne era ben convinto, ma da inguaribile ottimista qual era riusciva a vedere solo ciò che di buono nasceva oggi in Italia, e dimenticare i buchi neri, le voragini provocate dai colpi di bulldozer che qualcuno il quale non le vuole bene ha inferto.
Macchi si concentrava solamente, e a ragione, sulle cose che potevano riscattare l’Italia, in primis la ricerca, quella stessa ricerca che consente al Giappone di avere dei prodotti (di proprietà nazionale) esportabili e di potersi permettere un debito pubblico ed un rapporto debito/PIL elevatissimi.

Certo è che il Giappone è uno stato sovrano indipendente, che esercita la propria sovranità monetaria, e che possiede i propri brand nazionali. L’Italia non è più tutto questo ormai, in gran parte.
E Smith, certamente più di Macchi, ne avrebbe preso atto, ritornando in Italia. Avrebbe scorto quello che non c’è più, dopo trent’anni, o forse, quello che ancora è rimasto ma si dissolve sotto l’indifferenza di una popolazione che è ormai europea, non più prettamente italiana, soprattutto se parliamo delle nuove generazioni (questo concetto è da considerarsi completamente avulso dal tema dell’integrazione raziale e dell’immigrazione).
Ad un ventenne non può importare se vengono demolite le colonne della nostra cultura, e crollano gli architravi tutt’intorno a lui, è il pragmatismo che tutto distrugge ad accomunare un ragazzo italiano, a uno tedesco, a un belga, a un francese.
Sono europei, pensano in globale, non pensano secondo le tradizioni del proprio Paese, di cui non riconoscono più le bellezze, perché non c’è più cultura. E se non c’è la cultura non c’è la consapevolezza, di cosa abbiamo in casa, dei preziosi che abbiamo in casa, cosicché quando arriveranno i ladri (e arriveranno, garantito, anzi sono già arrivati, e continuano, e continueranno ad arrivare) e porteranno via tutto, questi giovani europei li faranno accomodare, li accoglieranno con una indifferenza, una ingenuità e noncuranza che obiettivamente è imbarazzante, deprimente.
E’ l’abitudine alla perdita, è l’abitudine all’abbassamento, è l’abitudine alla disgregazione, è l’abitudine alla deprivazione, è l’abitudine all’essere teleguidati, è l’abitudine all’impoverimento (in tutti i sensi) programmato, è l’abitudine alla cancellazione e asfaltatura, è l’abitudine all’essenziale nella sua accezione più diabolica e proditoria. Sono giovani che diventeranno adulti, che diventeranno popoli senza un’anima, di questa Europa manovrata da chi vuole distruggere e occupare impossessandosi dei capitali, alla stregua di un conflitto bellico.

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Ma Ludovico era un camerata che non temeva giorni bui, era un combattivo, per la propria madrepatria avrebbe dato la vita. Era un cuore generoso, un cuore grande, capace di ricordarsi di un amico anche dopo trent’anni di silenzio reciproco, quasi che ci fosse un’empatia tra due amici di lunga data specialmente quando c’è un momento di sofferenza, e in particolar modo se questo problema non è più solo di un breve periodo, ma dura mesi, anni. (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) E non appena era venuto a conoscenza di un nuovo fiore all’occhiello della ricerca scientifica italiana, che inoltre afferiva alla sua materia didattica, si era ridestato ma non solo, voleva condividere, avendone già verificato in loco la validità dei concetti propugnati, questa fondazione, questa istituzione, e l’esperienza in questo laboratorio così innovativo, con un personaggio d’oltreoceano che potesse riportarne le sensazioni nelle sue lande.
L’energia del Macchi aveva galvanizzato Smith, questi voleva al più presto venire edotto su quanto aveva già esperito l’attuale collega, voleva provare con mano una cosa forse sensazionale, applicata al marketing, una scoperta che mettesse in discussione tutto ciò che fino ad allora poteva essere stato considerato come dogma; una scoperta che rivoluzionasse i meccanismi stereotipati del marketing, grazie a una tecnologica e a un metodo di ricerca spiccatamente innovativi.
Smith avrebbe già voluto essere a bordo del Boeing 747 verso l’Italia, ma il suo zelo lo aveva portato a riflettere se non fosse il caso di portarsi già dietro un suo amico che faceva il consulente marketing per una multinazionale americana delle scarpe da ginnastica, abbigliamento e accessori sportivi. In effetti l’idea non era balzana, di vedere in azione tutte le parti protagoniste, perché se un laboratorio come quello che gli aveva descritto Ludovico, poneva sotto indagine la persona, – ovvero il cliente finale probabilmente non più personas, bensì “Personam” -, nel suo interagire con il brand, con il prodotto, e/o con un interfaccia che li rappresentasse visivamente/audiovisivamente indipendentemente da quale fosse il touchpoint, nel dietro le quinte chi era lo spettatore di questo “Personam Interaction Behavior Camera”? Definizione questa che John aveva formulato velocemente nel proprio pensiero, lui che soleva analizzare tutto di ogni argomento, sviscerare ogni dettaglio, e sintetizzare poi in un pacchetto tramite una sigla nella sua mente, quasi che divenisse una voce nell’indice di una enciclopedia che risiedeva nel suo intelletto. Lo spettatore, live, era un imprenditore, o un amministratore delegato, accompagnato da un consulente marketing, doveva essere così per forza, che senso poteva invece avere ricevere solo a posteriori semplicemente un documento di sintesi su performance e considerazioni emersi dai test, quindi a giochi fatti senza essere stati presenti in loco durante gli stessi?
Smith era un tipo all’antica, gradiva la precisione, e l’ordine logico nelle cose; la sensatezza che lui impiegava nelle sue scelte doveva risiedere in tutti, non concepiva l’ingenuità di metodo, detestava la stupidità nelle persone.

***

Era ormai l’occaso, e la pioggia stava cessando, tant’è che un ultimo timido raggio di sole si era affacciato dal transitare delle nuvole, John lo poteva vedere tra i rami di un Ailanthus Altissima che svettava a pochi metri dalla sua Mustang.

Sì, era una buona idea, guardò in rubrica il numero, Fred Livingstone, l’aveva scritto a matita qualche anno prima, ma era ancora intellegibile. Prese il telefono cellulare dalla borsa, e mentre lo accendeva cercò di ricordare quand’era l’ultima volta che lo aveva utilizzato… Forse il mese prima. In effetti, il professor Smith non era assiduo nell’intrecciare relazioni, conservare e alimentare rapporti di amicizia (e familiari, come detto) negli anni, non era una persona molto socievole probabilmente perché incline al sentirsi superiore agli altri, o forse perché fino alle due pomeridiane tollerava i propri studenti, dopodiché sentiva solamente il bisogno di estraniarsi da tutto, e da tutti, rifugiandosi semmai nei piaceri (non necessariamente solo fisici – il sesso era un bisogno che aveva già abbondantemente soddisfatto nella sua vita) che gli potevano offrire le sue amanti.

Un aspetto molto attraente di Boston era, a parte la bellezza della città, il fatto che, come probabilmente gran parte delle metropoli, potevi isolarti pure se stavi passeggiando in un quartiere affollato di persone. Tu non conoscevi nessuno, e nessuno ti riconosceva: cosa c’è di meglio? In un certo senso non gli si poteva dare torto. John inoltre, non era certo il tipo di persona che poteva essere dipendente verso l’utilizzo frenetico del cellulare.

Compose il numero. Tre secondi dopo, un telefono squillò sulla costa ovest, a Portland nell’Oregon, tre paralleli più a nord di Boston.
Forse era passato troppo tempo dall’ultima volta che si erano sentiti, o forse aveva cambiato numero, fatto sta che non rispondeva nessuno; il pollicione di Smith stava già nervosamente arcuandosi ad uncino verso il lato del telefono che poggiava all’orecchio, quasi per allontanarlo e pigiare sul pulsante rosso di chiusura, ma improvvisamente:
“John! Non ci credo, che bello sentirti di nuovo!”
(John Smith spense il motore) “Ciao Freddy, come stai vecchio mio? Scusa è una vita che non chiamo.”
“Come stai!? No ma scherzi!? Non ci pensare nemmeno, avrei potuto anch’io tirare su la cornetta e chiamarti, è che qui l’azienda purtroppo devo dirtelo John… Ha passato giorni migliori, adesso sono un paio d’anni che si sente un colpo di coda della crisi economico/finanziaria… Sembra che non finisca mai questa storia. Ci vorrebbe un miracolo, i trend del mercato hanno ormai costantemente un meno davanti, e noi non siamo esenti, anzi, ormai sembra che questo meno abbia fatto le radici, su tutti i dati, di vendite, di traffico sul sito, di ritorno dell’investimento del marketing, insomma un disastro! La questione è che poi, non riguarda solamente gli States questo andamento, ma altri 47 Paesi su 55 da noi presidiati nel resto del mondo. Mi devi credere se ti dico che le ho provate tutte, io che insomma, dopo trent’anni di carriera nel settore pubblicitario, posso definirmi un guru del marketing, e sai, ho anche fatto spendere molto in campagne pubblicitarie, specie in TV, l’ultima volta il mese scorso durante il Super Bowl sulla NBC due spot di 30 secondi l’uno ci sono costati quasi 10 milioni di dollari.” (video)

(riprendere lettura) Fred era partito subito di gran carriera rovesciando addosso a John questioni e problematiche lavorative più o meno private, ma questi stette al gioco, anzi, quasi sperava che la conversazione si instradasse proprio su questi termini.
“Quanto investite sul web?”
“Poco, le briciole praticamente, forse in questo sono colpevole. Collaboro con una agenzia di Boston, guarda caso, e sono venuto lì più di qualche volta John, quindi se vuoi darmi del maleducato per non essere venuto a trovarti, hai doppiamente ragione!”
“Figurati dai…”
“Per il 2018 abbiamo investito 200 milioni di dollari nel digital, per l’intero mercato globale, in pratica circa il 3,3% rispetto ai 6 miliardi destinati alle campagne TV.”
“Freddy, io non ne capirò molto di marketing, ma le due cose mi paiono un tantino sproporzionate tra loro. Credo che se hai un certo tipo di ritorno dal web, e che magari si avvicina, proporzionalmente, è chiaro, a quello che hai dalla TV, o magari lo supera addirittura … Qualcosa di più lo investirei sul digital marketing, ma come ripeto: non ho certo la pretesa di insegnarti il mestiere, ci mancherebbe. Poi certo, immagino sia giusto diversificare il proprio portafoglio di investimento marketing, presidiando un po’ tutti i canali, quindi compresi quotidiani, riviste di settore, radio, affissioni, ecc. Ad ogni modo, forse ho io una soluzione che ti potrebbe interessare: la settimana prossima puoi liberarti dagli impegni di lavoro, e prendere assieme a me un volo per Milano?”
“Milano?! Davvero vuoi farmi attraversare l’Atlantico? E’ già lunga arrivare da te a boston! Ma di cosa si tratta?”

***

Il racconto sulle news da Milano colpì Fred Livingstone, e non solamente perché lui era in cerca di riscatto nei confronti della dirigenza della multinazionale; obiettivamente aveva colto dei significati nuovi, molto profondi, in effetti valeva la pena rendersi conto di persona di che cosa v’era in cantiere.
Fred aveva fatto il pendolare prettamente all’interno degli Stati Uniti, li aveva girati in lungo e in largo durante la sua carriera, avendo lavorato per diverse piccole/medie imprese sempre del settore delle calzature sportive. Poi, nel 2005 l’approdo finalmente in una multinazionale, gli parve inizialmente un premio, ma si sa che non è tutto oro quel che luccica. Tuttora militava lì, ma probabilmente in tutti questi ultimi quindici anni non si era reso conto della chiusura mentale che probabilmente gli derivava dagli ambienti lavorativi precedenti. Forse spostarsi entro i confini statunitensi per dirimere anche le questioni inerenti le varie campagne pubblicitarie oltreoceano, non era stato sufficiente. I problemi si risolvono meglio vis-à-vis, le opportunità si creano vedendosi di persona, gli affari si concludono con i piedi sotto la tavola, anche per chi come consulente pensa di essere avulso dal doversi muovere, e dal dover agire, in prima persona, se non entro determinati raggi d’azione. Una campagna pubblicitaria poteva avere successo negli USA, la cui popolazione Livingstone l’aveva imparata a conoscere in modo piuttosto esaustivo, e magari poteva avere successo in determinati Paesi dell’America Latina e dell’Europa (e compresa una certa parte delle colonie britanniche a livello globale) aventi storia e cultura abbastanza simili a quella statunitense, e magari in comune ad essa, tanto profonda è la multietnia di questo Paese, e tanto storica è l’immigrazione proveniente da alcuni Paesi come ad esempio l’Italia e la Germania, oltreché naturalmente Gran Bretagna e Irlanda, Canada, Messico. Tutt’altra piega può assumere l’andamento della stessa campagna in certe aree asiatiche, anzi in molte aree asiatiche, ma anche in certe zone europee, e africane, sebbene anche da zone come la Cina, il Medio Oriente, l’India, le Filippine, l’Africa (delle colonie Britanniche), siano migrate verso gli States ingenti quantità di popolazione specie a partire dalla seconda metà del Novecento. Chi è emigrato dal proprio Paese, con ogni probabilità si integra, o perlomeno questo dovrebbe essere l’obiettivo, con la cultura del Paese di destinazione, e tutto sommato credo che oggi sia ancora abbastanza possibile nel suolo americano se si ha la buona intenzione della legalità, e nonostante la crisi economica che è inconfutabile, dati alla mano. (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) Ma un cinese che è rimasto in Cina, possiede una cultura, usi e costumi, ancora diversi dall’Occidente, nonostante la globalizzazione, e ciò vale per un indiano rimasto in India, per un filippino nelle Filippine, per un congolese nella Rep. Democratica del Congo (ex Zaire), questo a prescindere da che fascia d’età, classe sociale, titolo di studio, lavoro e reddito. Parlano lingue differenti, in senso letterale e lato, non si possono comprendere queste persone fintanto che non le si è conosciute di persona visitandole in loco, a casa loro. Altro aspetto certamente non trascurabile è come veicolare il messaggio destinato a queste persone. I media cambiano, nella classifica percentuale di utilizzo soprattutto, e qui probabilmente le differenze sociali e di età incidono.
In definitiva, mancava qualcosa, o forse più di qualcosa, nell’approccio di Fred Livingstone verso delle strategie di marketing ad ampissimo raggio, soprattutto perché come cultura una multinazionale, specie quella multinazionale, non aveva nessun tipo di contatto ad personam, bensì ipotizzava semplicemente dei personas ai quali dare in pasto dei prodotti predigeriti, ma dov’è l’esperienza? Che esperienza c’è da parte della persona che acquista un prodotto già finito, a circuito chiuso, a scatola chiusa? Può essere molto bene, ma può essere anche molto male. L’amico John Smith poteva essere di grande aiuto per aprirgli la mente, e fargli da Cicerone verso nuovi luoghi, nuovi mondi, e nuove filosofie.
“John mi hai convinto amico mio, saranno necessari due viaggi penso, in quanto, se fosse per me mi porterei già dietro l’amministratore delegato, Leslie Richardson, individuo della peggior specie, davvero sgradevole il quale mi ha sempre compatito più che altro, svilendo le mie capacità e potenzialità, ma a parte questo: se gli propongo di fare un viaggio di 9.000 km a scatola chiusa senza essermi io in prima persona già sincerato a priori che la meta da visitare valesse veramente il prezzo, prima mi ride dietro e poi mi caccia fuori dall’ufficio urlandomi dietro come di consueto queste testuali parole ‘E fai una cura dimagrante che coli grasso puzzolente dai pori anche il venti di gennaio!’. Magari cambia un po’ l’intonazione ogni volta per perfezionarne l’effetto, ma le parole sono queste esatte.”
“… Beh, certo capisco, non fa piacere.”
“No, credimi John, è dura averci a che fare quasi quotidianamente. Voglio fare le cose per bene questa volta, allora facciamo un primo viaggio di perlustrazione tu ed io, magari questi signori mi lasciano fare delle riprese di documentazione, poi faccio vedere i filmati a Richardson più magari un documento di sintesi (meglio se composito, multimediale) redatto dallo staff del laboratorio contenente delle evidenze sui test. Dopodiché, se la cosa lo interessa, e penso di sì, facciamo una seconda spedizione portandoci dietro anche lui. Che ne pensi?”
“Si mi sembra bene, non penso ci siano problemi. Lì conoscerai il mio vecchio amico e compagno di università Ludovico Macchi, penso che stringerete amicizia, lui può essere ottima risorsa per te e la tua azienda come luogotenente in Italia, ma questo sarai tu a dirlo. Tornando alle specificità degli ambiti trattati dal laboratorio, io ho avuto solamente una spiegazione sommaria, sebbene interessante, da Ludovico. Non ha voluto sbottonarsi troppo, forse perché vuole che sia una sorpresa poi il constatare di persona le cose. Da come ne parla pare una vera rivoluzione nel mondo del digital marketing, nella scienza della comunicazione, e nel design progettuale. Il preludio mi è parso fare leva su un tema principe, ovvero la centralità della persona.”
“Beh certo la persona è sempre più importante e sempre meno utente, ha una identità ben precisa, va cullata con prodotti più belli, va coinvolta, anche calmierando i prezzi, facendole credere di avere l’oro nelle mani a fronte di una spesa tutto sommato abbastanza contenuta. Nelle nostre campagne pubblicitarie mettiamo in risalto dei bei primi piani di gente comune, di varie etnie, un po’ come fa Toscani per Benetton.”
“Sì, certo questo è un buon argomento e punto di partenza, ma dalle parole di Ludovico mi è parso che questi concetti non siano più sufficienti, sono ormai stereotipi che hanno fatto il loro tempo. Parlava più di un capovolgimento di fronte, cioè non è più il brand a dire all’utente consumatore qual è e com’è fatto il prodotto di cui presumibilmente ha bisogno, bensì è la persona, che sottoposta ad ascolto e a determinati test con strumentazioni molto avanzate tecnologicamente, esplicita al brand qual è e com’è fatto il prodotto di cui realmente ha bisogno.” (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) “Sono impressionato!…”
“Bei concetti che evidentemente pochissimi avevano preso in considerazione, anzi forse nessuno lo aveva fatto con una tale serietà e così in profondità. Effettivamente, pensandoci bene, oggi come oggi noi compriamo dei prodotti praticamente a scatola chiusa, ma poi non siamo pienamente soddisfatti né del loro aspetto, e né della loro funzionalità. Probabilmente non siamo nemmeno in pace con il perché esistano determinati oggetti sul mercato, e non altri. Designer e ingegneri progettano veri e propri miracoli di tecnologia, ma secondo me un approccio vero con chi poi dovrà comprare questi prodotti, prioritariamente alla loro produzione e immissione sul mercato, non c’è, non c’è mai stato. Perfino certi colossi come Ap?le, G??gle, o anche nel settore dell’automobile, non mi è chiaro fino a che punto pongano in primordine l’auscultazione di un’esperienza che la persona ha fatto in un modo che non la soddisfaceva pienamente e l’esperienza che vorrebbe fare relativamente ad un determinato tema. L’esperienza che vorrebbe fare dovrebbe diventare il servizio, e/o l’oggetto da produrre. Conseguentemente a quanto ho detto, siamo realmente certi che un’autovettura con guida assistita sia realmente quello di cui una persona ha bisogno? Siamo realmente certi che i risultati che G??gle presenta a fronte della ricerca effettuata dalla persona siano tesi a far atterrare costei su contenuti pensati per una buona esperienza utente, e non siano semplicemente una lista di collegamenti a pagine che soddisfano i criteri di ricerca in termini di corrispondenza alla parola chiave cercata e poi G??gle se ne lava le mani su che cosa sia l’esperienza utente una volta atterrato su dei contenuti non sufficientemente valutati e certificati? E’ probabile che G??gle stia lavorando sulla problematica di un ascolto reale dell’esperienza, ma non solo per quanto riguarda l’aspetto search, ma altresì su altri ambiti del suo pacchetto ovvero la digital analytics (G??gle Analytics), l’adv (G??gle Ads), il social positioning (You??be), solo per citarne qualcuno.”
“Capisco, sì probabilmente una chiave di questa nuova frontiera è l’ascolto della singola persona, che non è un numero, che non è una media, che non è più o meno importante. E’ una persona, quanto vale una persona? Le si può dare un valore monetario? No. Il segreto forse risiede proprio nel fatto che se il mio prodotto non soddisfa in tutti gli aspetti la singola persona in target, è arrivato il momento di sentire da lei che cosa non va e perché, e capire grazie al suo, al suo, suggerimento come modificarlo. Solo allora, il mio prodotto potrà andare in produzione di serie ed essere immesso nel mercato. John, non posso che ringraziarti per avermi aperto la mente, io non vedevo capisci?”
“Prego è un piacere Freddy, ma il bello penso debba ancora venire, affrettiamoci a metterci su un volo per l’Italia!”
“Sì oggi è venerdì e l’agenda per la prossima settimana per fortuna non è ancora così piena, avrei un appuntamento a San Diego lunedì mattina e uno a Miami mercoledì pomeriggio, ma quest’ultimo direi che lo anticipo a martedì mattina così poi nel pomeriggio da lì vengo su da te a Boston e poi partiamo assieme.”
“E’ perfetto, prenoto allora il volo per martedì sera, se non hai bagaglio da stiva ti anticipo io il check-in online con la American Express Gold, regoliamo poi non preoccuparti, va bene in business class?”
“Noto con piacere che l’argent non ti manca vecchio mio, sono felice per te, è bello sentire da qualcuno che il denaro non è un problema di questi tempi. Va bene, non posso che accettare, grazie, fammi sapere allora a che ora chiude il gate, e qual è il terminal, ci vediamo lì.”
“Bene, a martedì Fred.”
“A martedì.”

***

John si passò le dita della mano sui rigogliosi capelli che, nonostante gli anni passassero, rimanevano di un bel castano scuro, erano veramente pochi i capelli bianchi. Un piacevole gesto a evidenziare la sua avvenenza e la sua bella pettinatura alla Mascagni, che bene si abbinava al baffo che non aveva più lasciato da quando ne aveva scoperto il fascino vedendolo esibire dai latin lovers italiani. (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) Un buon taglio di capelli, e un elemento caratterizzante come dei baffi curati, sono forieri di personalità, e stile, nonché di una certa cultura. Certe epoche, certi stilemi, hanno fermato un tempo, hanno segnato un tempo, rimangono intramontabili, classici per eccellenza, è come indossare, e re-indossare, e ancora, e ancora, per generazioni, i guanti di qualcuno, e reinterpretare una parte, un ruolo, e il treno può ripartire, anzi, in questo caso l’aereo, poteva riportarsi in quota.(video)

(riprendere lettura) Mezzo giro di chiave e il rombo di tuono dei cavalli di razza risuonò per tutto il campus, il professore era compiaciuto di come evolveva la giornata, diede qualche colpo di gas che venne subito notato dai fanciulli, e dalle fanciulle, che si recavano dal campus verso i mezzi pubblici per rientrare nelle loro dimore a studiare. John rifletté su quest’ultimo punto e tutto sommato non gli dispiaceva di avere 53 anni e non doversi più sottoporre a esami noiosi per essere valutato. Ora era lui dall’altra sponda del guado, era lui a valutare, ad arbitrare la sua vita, e a scegliere. Questo sì, questo no. Questo va bene, questo non va bene. Questo mi piace, questo non mi piace. E se l’ho detto io, e se l’ho pensato io, che non sono un fesso qualunque, è legge.
Commutò in drive e si diresse verso casa, erano poche miglia, e meno male visti i consumi di un V8 da 300 cavalli. Non vedeva l’ora di varcare la porta di ingresso, viveva in una casa a schiera nel quartiere di Beacon Hill, una zona residenziale perfetta per staccare completamente la spina e rilassarsi in mezzo alla quiete.

Sentì il clock dello scatto, chiuse lentamente la porta dietro di sé scrutando se aveva parcheggiato bene, ora voleva coccolarsi, voleva premiarsi per come aveva incasellato bene gli eventi, e sentito dopo così tanto tempo degli amici ai quali era così affezionato. E coccolarsi per lui poteva voler dire almeno quattro cose diverse che alternava in base all’occasione, ma in quel momento voleva dire solo una cosa: prese dal congelatore il blocco di ghiaccio che era rimasto dalla sera prima e lo mise nel secchiello portaghiaccio, tirò fuori dal cassetto uno scalpellino e ne ricavò una dozzina di frammenti che ordinò per bene all’interno di un bicchiere a base quadrata e con gli angoli leggermente smussati.
Il nettare dorato con riflessi ambrati di Old No. 7 Brand scendeva dolcemente tra le sfaccettature del ghiaccio liberando, librando, un gioco di forme, colori, riflessi, e diffondendo una liquida musicalità tanto che pareva a John di essere divenuto per un istante un mastro distillatore successore di Jack Daniel (il vero nome era Jasper Newton Daniel).

Sembrava che lo splendore di quel bicchiere di Tennessee Whiskey che teneva e rimirava nella sua mano alzandola verso la luce artificiale che entrava dalla finestra, potesse effondere linfa vitale ancor prima di averne sorseggiato un po’. Jack Daniel’s Old No. 7 Brand non è un whiskey qualunque, e non è uno scotch, e non è nemmeno un bourbon, e John questo lo sapeva bene, il suo premiarsi era anche la consapevolezza di questo dettaglio, mica piccolo. La lavorazione artigianale, il filtraggio per alcuni giorni in 3 metri di spessore di carboni di acero zuccherino, la raccolta goccia dopo goccia in botti realizzate a mano. L’invecchiamento, un’alchimia che solo il mastro distillatore successore di Jack Daniel può amministrare con la sapienza e la cura di un maestro, stabilendo a suo insindacabile giudizio quando Old No. 7 Brand è pronto per essere imbottigliato, ci possono volere 8 anni, 10 anni, 13 anni, o più e solo lui lo stabilisce assaggiandolo nel tempo. D’altronde quando un oggetto è così bello esteticamente, anche il suo contenuto è eccellente.
Rilasciava piano l’epiglottide il professore per tenere il gusto in bocca e in gola il più a lungo possibile, così da far tornare su verso il palato quel fuoco di passione che solo gli intenditori possono provare.
Stette lì, seduto in poltrona, tutta la sera, in comunione con il suo drink, sondando nella sua mente le emozioni, le sensazioni, che questo viaggio avrebbe portato, alcune radicalmente nuove, altre riassaporate di nuovo dopo tanto tempo, un po’ come quando risfoderiamo un vecchio vinile dalla custodia protettiva in carta velina, e lo appoggiamo sul piatto del giradischi: bello azionarlo e guardare a mo’ ipnotico l’etichetta centrale del disco che gira, e gira. Vorremmo che non finisse mai; come la vita. (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) Passare la spazzola in velluto sul disco per pulirlo, e, abbassato il braccetto, sentire il fruscio della puntina che scorre dolcemente lungo il solco d’incisione, sono cose che non hanno prezzo, oggi dove impera la tecnologia, che è finta, e senza gusto, agli occhi di chi è un collezionista e un esteta della tradizione e delle cose del passato. E’ questione di cultura. La tecnologia può essere presente nella vita di un uomo, ma nella giusta misura, deve essere solamente uno strumento, un mezzo per raggiungere determinati risultati in campo scientifico, ma nulla più. Questo mondo tecnologico e virtuale rivolto ai giovani, che avanzava minacciosamente, atterriva il nostro eroe. Gli tornarono in mente certi aneddoti che lo avevano sbigottito interrogando i suoi alunni: c’era chi non aveva mai visto dal vero un cerbiatto, chi non aveva mai comprato un romanzo vero, di carta rilegata, in libreria; chi non aveva mai tenuto in mano una rosa, chi non aveva mai scritto una lettera con la macchina da scrivere, chi non aveva mai tenuto in mano una banconota da 100 dollari, chi non aveva mai visto un telefono a rotella, chi non aveva mai mangiato del pesce fresco; chi non aveva mai indossato una camicia, chi non aveva mai indossato un orologio meccanico, chi non aveva mai baciato una ragazza, chi non era mai stato in montagna, chi non aveva mai suonato a un campanello di casa. Ripensando a queste cose così tristi, così lontane dalla condizione di essere umani, John sprofondò in un sonno profondo probabilmente per eludere alla triste realtà di un lento ma inesorabile imbarbarimento della popolazione.
Forse allora fin qui aveva sbagliato con i propri studenti, era mancata quella componente di insegnante un po’ tutore e un po’ padre, che questi poveretti anelano specie quando i genitori, quelli veri, sono di un’aridità culturale prima ancora che affettiva. Forse un buon professore è quello che prende i ragazzi e li porta a fare una passeggiata al parco, e insegna loro come si chiama quell’albero che sta lì, e come si chiamano quegli uccelli che si sono appena posati su quei rami. Forse un buon professore è quello che parla in privato con ogni proprio alunno, cerca di entrare un po’ in confidenza per capire se va tutto bene, e se manca qualcosa, se c’è un vuoto da colmare. Forse un buon professore è quello che insegna il piacere della cultura come un accrescimento personale e non come una tortura per affrontare un esame. Ecco che questi giovani stempereranno l’odio, abbatteranno i muri relazionali, avranno sete di vivere realmente le cose alla luce del giorno, rinfrancati perché qualcuno dimostra reale affetto gratuito per loro, e trova del tempo per ascoltarli. L’ascolto, ecco la parola chiave suggerita dal Macchi, perno di innovazione che poteva essere su scala globale. Chi sa ascoltare oggi, rimettendo i propri interessi da parte e dando spazio ai bisogni delle altre persone? Quanto siamo diventati invece vittime del nostro stesso egoismo, sterile, improduttivo specie in una realtà odierna ove c’è una cancrena dell’economia, dei mercati, della previdenza sociale? Questa paura ad aprirsi, questa malfidenza verso tutto e tutti non fa altro che acuire il male, per cui possono delinearsi all’orizzonte cose pericolose, come la guerra civile, il brigantaggio, l’anarchia, o, per prevenire questi mali, la dittatura, che può essere un male ancora peggiore. (intermezzo musicale)

(riprendere lettura) Si svegliò il mattino seguente con in testa le immagini delle dittature, che avevano portato morte, distruzione, miseria, e non fu un bel risveglio, ma si sa, svegliarsi alla mattina lo è, spesso, un trauma, per i motivi più svariati. Alla mattina, appena svegli, compaiono i fantasmi più strani, le ansie più assurde, che hanno le tinte lasciate nell’addormentarsi la sera precedente, ma rinvigorite dalla concretezza della luce e dell’aria mattutine. Il peso della giornata da affrontare, poi, certo non è di aiuto. Bisogna lavorare duramente e con metodo su sé stessi, per vincere certe insicurezze, certi spettri.
Ma ben presto riaffiorarono alla sua mente le due telefonate del giorno precedente, e furono come una panacea per placare questo malessere, questo retaggio proveniente dalla storia, soprattutto per chi conosce la storia, non può più prendere troppo con leggerezza le cose, la vita, altrimenti sta usurpando un diritto e il perché della propria esistenza. Ogni giorno noi calpestiamo con i nostri piedi il terreno dove sono morti altri, di atroci sofferenze, e non solamente di malattie, ma altresì uccisi in battaglia, o nel difendersi dai briganti, o più semplicemente di stenti per le carestie. Forse allora non è giusto semplicemente fregarsene apertamente della storia, perché in fin dei conti, la storia siamo noi, e noi ogni giorno, tutti, dall’aristocratico al più povero dei poveri, facciamo parte di una struttura sociale che è guasta e che è di fatto, così com’è avariata, il registro della storia che stiamo scrivendo ogni giorno. Ma quale storia può scrivere ogni giorno un’analfabeta di ritorno figlio di papà, un rampollo che conduce una vita dissoluta di notte e di giorno è amministratore delegato, o peggio tenta la strada politica? Ma quale storia possono scrivere ogni giorno le figure di spicco del mondo della finanza, che guidano l’economia mondiale e i governi del capitalismo e della globalizzazione, se queste persone pensano solo ai propri tornaconti a discapito dell’onesto cittadino che paga le tasse? Ma quale storia possono scrivere oggi le persone comuni che non sono più informate su come siamo arrivati fin qui e su come si fa a stare al mondo, su come ci si comporta, su quali sono i propri diritti che, quest’ultimi in un certo senso dovrebbero essere considerati dei doveri, così come lavorare è un diritto ma anche un dovere, e non solo per sé stessi, e stare in salute è un diritto ma anche un dovere, e non solo per sé stessi, e riuscire a fare economia domestica e riuscire a risparmiare qualche spicciolo senza privarsi dei beni di prima necessità e facendo una vita dignitosa è un diritto ma anche un dovere, e non solo per sé stessi. Ad ogni azione ne consegue una reazione. Se il cittadino non è una persona colta, precisa e ordinata, non farà valere i propri diritti così come tenterà di evadere dai propri doveri; ne consegue – a causa di un’economia guastata soprattutto dai ricchi, ma anche dal basso che materialmente non ha i mezzi di sussistenza – che esiste un mondo del lavoro che esternalizza l’impiego in senso non necessariamente geografico (ma il reddito sì, se ne va all’estero e non viene immesso nel mercato interno), potendo così sottopagare, e licenziando di continuo o comunque stipulando contratti disonorevoli con i lavoratori, per cui il cittadino mediamente è un povero (intendendo con questo termine la fine della borghesia), nonostante indebitandosi con gli istituti e accedendo al credito mostri un’altra faccia probabilmente per vergogna. Ma dati alla mano, oggi quasi il 50% della popolazione degli Stati Uniti d’America per arrivare a fine mese deve toccare i propri risparmi, ed un terzo della popolazione è classificato come a rischio oggettivo di povertà in quanto se deve affrontare una spesa imprevista di 400 dollari non sa come fare. Ne consegue che se la popolazione spende, tramite l’accesso agli istituti di credito, solamente su determinati beni che possano rappresentare un certo tenore sociale, falso, e non fa più acquisti in altri settori merceologici, il mercato in un senso più generale si blocca, va in cancrena, diventa sterile. Ne consegue che, se il mercato si ferma, perché la popolazione lato consumatore è povera, anche la popolazione lato venditore è povera, e se sono poveri, non pagano i propri debiti verso gli istituti di credito (da cui lo scoppio delle bolle finanziarie), e non pagano le tasse, cosicché anche lo stato diventa povero. Ne consegue che in uno stato povero, i ricchi, di solito l’1% della popolazione, che detiene il 90% circa della patrimoniale, non investono capitali sulle imprese, e non può esserci nessun tipo di crescita, si rimane sempre sullo 0,. Ne consegue uno stato, non solo inteso come istituzione ma anche come livello di condizione, che vede non lontana la bancarotta. Ne consegue, che tutto, comprese chiaramente le infrastrutture critiche statali, le infrastrutture dell’economia, e le infrastrutture dell’ingegneria, va in deperimento.
La catena dell’esistenza di un popolo si spezza, e in senso olistico questo lo si nota così dal fondo della popolazione, e così dalla cima della popolazione, una popolazione che non è mai stata tanto integrata quanto oggi, ma disunita al contempo, è un ossimoro con il quale ognuno di noi pensa di poter convivere pacificamente, ma è decisamente un’arma a doppio taglio, pericolosità che però nessuno vede, probabilmente perché assuefatto di un fantomatico equilibrio per quanto precario, così come chi fuma poche sigarette al giorno non crede gli facciano male ma anzi, bene, e chi va tre volte a settimana a mangiare nei fast food non crede gli faccia male, ma anzi, bene, pur consciamente consapevole che sta “nutrendosi” di schifezze.

***

Il fine settimana passò abbastanza in fretta e indolore, il martedì era un qualcosa che si ingigantiva sul calendario, ora dopo ora, la trepidazione aumentava.
Arrivò quindi il pomeriggio del giorno fatidico, John ricoverò la Mustang in garage, e chiamò un taxi per dirigersi all’aeroporto Logan situato a est di Boston, praticamente sull’oceano se non fosse per la presenza, a due km e mezzo a est, di Deer Island. Il colpo d’occhio dal terminal, all’imbrunire di quel pomeriggio del 26 marzo, era notevole. Era impressionante il traffico aereo, in atterraggio, e in decollo, di giganti da 70 metri di lunghezza che sfrecciavano a poche decine di metri di distanza gli uni dagli altri tessendo una sorta di trama quasi che il controllore del traffico aereo di torre si potesse definire un sarto tant’era la sua maestria nell’allocare ogni aereo nello spazio giusto al momento giusto, si parla veramente di attimi e di metri e ci vuole la precisione suprema, il minimo errore potrebbe essere esiziale.
Un’altra cosa, pregio del Logan, era l’accostamento del rombo dei reattori degli aerei di linea e, una volta decollati, il poter percepire poco a poco il verso di gabbiani, orchetti, cormorani e strolaghe, John si soffermava con piacere a prestare attenzione a queste sensazioni, in attesa dell’arrivo di Fred e in attesa del volo, previsto per le 18 e 15.
Livingstone pareva disperso, poi poco prima della chiusura del gate fece capolino da dietro un gruppo di turisti giapponesi i quali avevano tutti delle macchine fotografiche vintage della Nikon e della Canon al collo, probabilmente ancora a pellicola. Questo dettaglio piacque al professore.

***

Il comandante Arthur Walker Connelly e il primo ufficiale Casey Spencer entrarono nella cabina di pilotaggio del Boeing 747 della Lufthansa. Il tempo di finire il caffè ristretto decaffeinato che regolarmente gli faceva trovare pronto la hostess, dopodiché il comandante Connelly vide che erano le 18 e 14 così fece cenno che la procedura di decollo poteva avere inizio. Il primo ufficiale annuì: si misero quindi auricolare e microfono.

“Verifica quantità carburante.”
“Verifica quantità carburante: necessari 145.000 litri, a bordo abbiamo 167.000 litri.”
“Necessari 145.000 litri, a bordo 167.000 litri.”
“Torre di controllo, qui Eagle 4907, chiediamo autorizzazione decollo pista 24.”
“Qui torre di controllo: Eagle 4907, pista 24 pronta per il decollo, avete autorizzazione.”
“Eagle 4907 pronto per il decollo. Allineamento margine.”
“Rilascio tiller. Closh avanti aderenza.”
“Manette potenza al 40%.”
“Motori potenza al 40% raggiunta.”
“Sblocco manette.”
“Anemometro velocità.”
“Anemometro velocità 100 nodi raggiunta.”
“Rilascio freni.”
“V1. Rotazione. V2.”
“Positive rate.”
“Positive climb gear up.”
“Positive climb gear up eseguito.”
“Rientrare carrello.”
“Rientro carrello, eseguito.”
“Attivare modalità vertical nav per profilo di salita fly director.”
“Modalità vertical nav inserita.”
“Altimetro valore.”
“Altimetro valore 4.000 piedi.”
“Chiudere flap a zero.”
“Chiudere flap a zero, eseguito.”
“Pilota automatico, inserimento cmd lato A.”
“Pilota automatico, inserimento cmd lato A, eseguito.”
“After takeoff checklist.”
“Carrello off azzeramento pressione idraulica.”
“Carrello off azzeramento pressione idraulica, eseguito.”
“Flap ritirati, verificare.”
“Flap ritirati, ok.”
“Spegnere freni automatici.”
“Spegnere freni automatici, eseguito.”
“Altimetro valore.”
“Altimetro valore 10.000 piedi.”
“Anometro velocità.”
“Anometro velocità aumentata da 250 nodi a 300 nodi.”
“Spegnere landing lights.”
“Landing lights, spente.”
“Spegnere runway turnoff lights.”
“Runway turnoff lights, spente.”
“Spegnere logo lights.”
“Logo lights, spente.”
“Impostazione altitude a 21.000 piedi.”
“Azionamento std altimetro.”
“Attivare wing anti ice.”
“Wing anti ice, attivati.”
“Attivare engine anti ice.”
“Engine anti ice, attivati.”
“Ok, bene.”
“Siamo in quota.”
“Stamattina mia moglie mi ha gentilmente ricordato che domani è il nostro anniversario… Questa transatlantica mi salva per qualche giorno, una volta tanto la fortuna è dalla mia.”
“La vita è più facile da quassù.”
“Sì, è vero Casey.”

Fu lo stesso pensiero che fece John Smith in quel momento slacciandosi la cintura di sicurezza, mentre un bimbo seduto davanti a lui si era girato a guardarlo con occhioni furbi e quel sorriso che è sempre contagioso.

14 gennaio 2019 Gilberto Marciano