Svelando il potere incredibile del microcopy: guida silenziosa all’eccellenza nell’esperienza utente
Proviamo ad immaginare di parlare con una persona nella forma di comunicazione più naturale: un dialogo in presenza in cui gli interlocutori si trovano in uno stesso spazio fisico e in uno stesso tempo.
Si intuisce subito che ciò che ci si scambia non sono solo parole.
Il messaggio trapela di significati altri di cui il linguaggio verbale costituisce solo una minima parte rispetto al linguaggio esperienziale: espressioni facciali, esclamazioni, fatti terzi imprevisti e contestuali, tono di voce, gestualità, solo per nominare alcuni elementi tipicamente appartenenti all’affascinante mondo del “non verbale”.
Proviamo ora a calare la situazione appena descritta nell’esperienza digitale, ad esempio, di navigazione di un sito web. L’azienda, il brand, ci sta raccontando qualcosa tramite informazioni, frasi più o meno accattivanti, fotografie e immagini, video e animazioni, suggestioni grafiche.
Ma siamo sicuri che l’esperienza di navigazione si traduca soltanto nei suddetti elementi (i cosiddetti “contenuti”)?
A guidare, completare e migliorare (o anche peggiorare) l’esperienza globale di chi naviga entrano in gioco i cosiddetti microcopy: brevi frammenti di testo che popolano pulsanti, etichette, moduli, notifiche, segnali di errore o momenti di attesa. A differenza dei contenuti tradizionali, lo scopo principale del microcopy non è informare o intrattenere; piuttosto, mira a facilitare la navigazione, incoraggiare l’azione e fornire chiarezza in pochi istanti.
È per tutte queste ragioni che si può considerare il microcopy come un ponte tra il design e la funzionalità.
Quando ben progettato, il microcopy dovrebbe passare inosservato e, nella migliore delle ipotesi, incrementare la soddisfazione della persona che esperisce, e di conseguenza la sua affezione nei confronti del brand.
Little things, done right, matter.
Well designed moments build brands.
Come assicurarsi dunque di creare microcopy efficaci?
L’obiettivo da tenere sempre in mente è far sì che l’utente impieghi il minimo sforzo mentale e temporale per comprendere il messaggio e compiere l’azione richiesta.
In generale quindi:
Per rispondere, dobbiamo premettere che oggigiorno si parla sempre più di figure fluide o ibride: nel campo del digitale e del web, ogni ambito è intrinsecamente legato agli altri.
E come abbiamo visto sopra, il microcopy è considerato per definizione un ponte tra design e funzionalità, estetica e usabilità, parole e pensiero.
Molto probabilmente se per UX/UI designer si intende una figura che pone al primo posto lo studio e la progettazione dell’esperienza “utente”, allora è proprio lui che si occuperà di redarre i microcopy, facendosi supportare da copywriter e talvolta anche da SEO specialist.
Uno dei contesti dove il microcopy assume la massima importanza è quello dell’e-commerce, ed è facilmente intuibile il motivo: la persona che segue un percorso di acquisto (premeditato o meno), vuole essere certa di non sbagliare (oggetto in atto di acquisto, cifra economica, luogo di consegna/ritiro, …).
Tra le CTA (pulsante volto a far compiere un’azione) più frequenti ci sono “Aggiungi al carrello” e “Acquista”.
Se proviamo ad analizzare il microcopy, si capisce bene la differenza tra le due: la prima suggerisce un’azione meno impegnativa, mentre “Acquista Ora” implica urgenza.
La scelta delle parole sui pulsanti di e-commerce e la loro posizione nel funnel di acquisto può di conseguenza influenzare la decisione dell’utente e il prosieguo dell’operazione.
(nell’immagine, i pulsanti Amazon)
Un altro ambito molto sensibile riguarda l’inserimento dei dati da parte dell’utente: i campi di input dovrebbero essere chiaramente etichettati e integrati da suggerimenti utili che semplificano il processo, rassicurano chi compila, riducono la potenziale frustrazione.
È molto affascinante il caso delle pagine 404, pagine cioè in cui viene segnalato un errore (denominato 404 appunto) che causa un’improvvisa e inattesa interruzione nella navigazione dell’utente.
Vi lascio un divertente video in cui Renny Gleeson parla al TEDx proprio di questo: “404, the story of a page not found”:
È evidente come il trattamento della pagina errore sia non solo importante nella gestione della frustrazione dell’utente, ma possa persino rappresentare un’opportunità per farsi conoscere più profondamente e per creare un rapporto di affezione tra il brand (azienda) e la persona che vive l’errore.
In questo contesto copy, microcopy e trattamento visivo, oltre a evitare che l’utente abbandoni l’esperienza di navigazione con un certo livello di disappunto, possono riuscire a stabilire un legame di altro tipo grazie alla creatività e all’empatia.
La pagina di errore passa quindi dall’essere concepita come “messaggio di qualcosa che non va” a diventare un modo per ricordare all’utente perché ama quel brand.
A simple mistake can tell me what you aren’t.
Or remind me why I love you.
Perché ci piace definirci “traduttori”: ponte tra il mondo di chi progetta e il mondo di chi vive l’esperienza. E perché l’esperienza digitale (e non solo) è l’oggetto del nostro lavoro, e il microcopy, per quanto piccolo e apparentemente poco influente, ha un impatto enorme sulle esperienze digitali.
È considerabile alla stregua di un eroe silenzioso che guida gli utenti, costruisce la fiducia e incoraggia l’azione.
Un microcopy pensato e ben progettato può trasformare un’interazione ordinaria in una straordinaria, lasciando un’impressione duratura sugli utenti e migliorando la reputazione del marchio nel mondo digitale.
Un’esperienza è semplice quando non costringe a porsi tante domande. Un’esperienza è naturale quando è vissuta in modo spontaneo. Un’esperienza è appagante quando rende felici e soddisfatti. (punto 10 del manifesto TSW)