Il marketing antropologico è un tema certamente rilevante del marketing di oggi. Un argomento complesso, che va affrontato tenendo in considerazione concetti che fanno riferimento alla cultura dell’uomo, declinata attraverso psicologia e filosofia. In questo testo si vuole dunque affrontare il tema in questione attraverso l’uso di un linguaggio consono e con riferimenti che esulano dal tipico articolo di marketing. Abbiamo già avuto modo di affrontare il Marketing Antropologico, attraverso la ricerca condotta da Linda Armano, Phd. Anthropologist, e qui vi proponiamo un’analisi del tema da un ulteriore punto di vista.
Buona lettura.
2, numero completo e perfetto, e di grande bellezza estetica. Dicotomia e complementarità, assenza e presenza, uomo e donna, giorno e notte, bene e male, amore e odio, domanda e offerta, il 2 è numero, binarietà (anche di linguaggio), e dualità che hanno accompagnato, e continueranno a farlo in eterno, l’Uomo.
Due fuochi prospettici irradiano concettualmente l’empirico quotidiano e sottendono che la quasi totalità dello scibile umano venga epurato da altre viste. L’unione è al centro, un centro visivo e logico in ogni cosa, e questa realtà assurge ad attori due elementi che creano convergendo.
Così come un cubo si materializza ai nostri occhi grazie alla luce che accende i generalmente 2 punti focali della prospettiva, ogni concetto della nostra esistenza è un concio di chiave di volta che sostiene ed è sostenuto dai due semiarchi. È, se vogliamo, una dialettica dalla quale si ottiene una crasi catartica e talvolta ascetica. Un punto di inizio e un punto di fine creano una ciclicità, per cui un punto di fine richiede un punto di inizio: una bidirezione convergente verso un pensiero che diventa Opera.
Michelangelo Buonarroti – David, commissionato nel 1501 dall’Opera del Duomo di Firenze, e realizzato tra il 1501 e il 1504 – Firenze, Galleria dell’Accademia
In campo artistico, una grande opera prevede un Committente ed un Artista che si erga a suo autore. E’ quindi un pensiero che viene partorito da due direzioni e confluisce nella materia scolpita di una assolutezza che si stagli nel cielo da sempre e per sempre.
L’Arte non sarebbe tale se a fronte di una genialità da parte dell’artista, attore e autore, non vi fosse un contraltare materializzato nella figura di chi sa fruire di un’opera da spettatore, creando un nuovo punto di inizio e quindi una ciclicità vitale dell’opera stessa. L’uomo è sempre più inserito nell’opera, vive in essa, con essa e per essa. Il concetto di bello artistico diviene il bene per antonomasia con il quale identificarsi, e così anche driver culturale nella persona. L’arte non è solamente il concetto di creazione artistica tout-court, ma travalica i suoi confini già infiniti agendo sulla nostra personalità culturale e disegnando, dando spessore e basi solide, i nostri gusti e preferenze estetici e di pensiero, azioni sinergiche a quella esercitata in noi dalla nostra storia, dalla nostra etnia, dal nostro ceto sociale, dal nostro lignaggio, e dalla nostra religione.
Le persone non sono più solamente spettatori ma sempre più attori delle cose in cui si identificano culturalmente ed esteticamente, trasponendo il concetto di identificativo artistico a identificativo consumistico come naturale conseguenza e veicolato dai driver culturali acquisiti consciamente o inconsciamente. Quest’ultimo concetto è guidato largamente da due fenomeni studiati dal Marketing Antropologico e facenti parte del Cultural Iceberg, ovvero le Unconscious Habits e le Communication. Le Unconscious Habits sono espressioni culturali, comportamenti che manifestano con parole o con atti i propri pensieri e sentimenti secondo un motto spontaneo e inconscio derivato da una sorta di DNA acquisito. Le Communication, invece, sono comunicazioni culturali, ossia più arbitrarie, ove vi è l’intenzione esplicita di esprimersi da parte dell’individuo.
In conseguenza agli studi sull’epistemologia genetica (studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi) di Jean Piaget (psicologo, biologo, pedagogista e filosofo svizzero), secondo cui l’individuo non è un passivo recettore di influenze ambientali né il veicolo di idee innate ma, piuttosto, un attivo costruttore delle proprie conoscenze, l’acquisto di un oggetto non è più un atto pedissequo dettato da una tendenza di mercato, ma, al contrario, diventa il compimento, la manifestazione volontaria e arbitraria (anche se in parte determinata dalla nozione di Habitus del sociologo, antropologo e filosofo francese Pierre Bourdieu secondo cui esiste un automatismo culturale inconsciamente adoperato dalla gente, frutto di scelte provenienti da un passato remoto) di un pensiero culturale ed estetico che va a rafforzare la caratterizzazione dell’io universo terreno. Un oggetto acquistato non è quindi più semplicemente un oggetto, bensì subisce una mutazione concettuale divenendo un segno, un simbolo sempre teso a trasmettere ed a manifestare un messaggio lungamente meditato, caratterizzante e personale.
Isotta Fraschini, prestigioso marchio italiano fondato da Cesare Isotta, dai fratelli Oreste, Antonio e Vincenzo Fraschini, e da Ludovico Prinetti a Milano, il 27 gennaio 1900
Il Marketing Antropologico studia temi come questo, l’“etnoconsumerismo”, ovvero lo studio del comportamento culturale dei consumatori.
Abbinare antropologia a marketing può certo apparire un’operazione poco naturale, specie se intendiamo il marketing come strumento per vendere di più o, addirittura, favorire atteggiamenti compulsivi di acquisto. Bisogna però considerare che prima di essere consumatori, siamo esseri umani. Il compito del marketing è semplicemente di fare da trait-d’union dimodoché le aziende e i loro prodotti entrino in sintonia con gli esseri umani.
La persona ha ora centralità assoluta nella definizione del prodotto da parte dell’azienda, la quale si serve della Business Anthropology che con un approccio di tipo Emico (prediligente il punto di vista del consumatore) è in grado di individuarne i tratti culturali; ciò permette di poter delineare una previsione sugli scenari sociali. Azienda e Consumatore sono i due attori che bidirezionalmente convergono nella definizione e creazione del prodotto. Verrebbe naturale porre lo studio su uno stesso asse tra azienda ed il suo target di riferimento, ma non sempre gli insights provengono da un target coassiale al brand. Il target di riferimento può infatti accogliere alcuni suggerimenti o essere influenzato nella definizione e scelta del prodotto da acquistare, da persone fuori target ma con gusti abbastanza affini, quindi leggermente fuori asse rispetto al brand. Chiaramente quest’ultimo concetto influisce in parte minoritaria (ma non trascurabile) rispetto a quelli che sono i fondamenti culturali, di pensiero, ed estetici del consumatore in target.
Soprattutto nel momento dell’acquisto, quest’ultimo afferisce sempre più alla sfera dell’Auto-Realizzazione Umana della Piramide dei bisogni di Abraham Harold Maslow, famoso psicologo statunitense. Secondo Maslow l’esistenza umana assegna, secondo una gerarchia piramidale, delle fasce di importanza alla svariata moltitudine di bisogni che la interessano. Alla base stanno i bisogni primari, di sopravvivenza; man mano che si sale verso la punta della piramide, risiedono i bisogni dettati da un sempre maggiore bisogno di sicurezza, appartenenza, stima, fino ad arrivare al gradino più alto che è appunto quello dell’Auto-Realizzazione, che oggi non è solo una realizzazione riguardante l’”essere divenuto chi si voleva essere”, bensì l’”essere divenuto chi si voleva essere anche tramite l’identificazione materiale simbolica culturale posseduta”. Nella teoria di Maslow si può scorgere un parallelismo con il pensiero dello psicologo statunitense Carl Rogers secondo cui va fatta una distinzione tra l’organismo, cioè l’uomo nella sua totalità con i suoi bisogni consci e inconsci, e l’io – la parte dell’organismo che racchiude ciò che ciascuno pensa di sé stesso. All’interno dell’io c’è l’io ideale: ciò che il soggetto vorrebbe essere. L’esperienza, per Rogers, è la materia su cui si fonda l’io e serve alla crescita se l’individuo ne diviene cosciente, cioè trasforma l’esperienza da ciò che avviene nell’organismo alla sua rappresentazione.
Ascoltare sé stessi e avere il coraggio di essere sé stessi fino in fondo e non accettare che gli altri condizionino i propri giudizi è, secondo Rogers, l’essenza della vera maturità.
“Non ubbidisco dentro me a nessuno, salvo che alla ragione.”
(Platone)
Secondo l’approccio funzionalista di Jerome Seymour Bruner, psicologo statunitense, gli strumenti e i contenuti della cultura vengono trasmessi soprattutto attraverso il linguaggio. A questo proposito un’importanza fondamentale è ricoperta dalla narrazione, strumento privilegiato di trasmissione culturale. Bruner ritiene che il pensiero narrativo rappresenti una particolare modalità di rappresentare l’esperienza.
Secondo lo psicologo statunitense, lo sviluppo dei sistemi di codifica avviene attraverso tre forme di rappresentazione, cioè insiemi di regole in base alle quali l’individuo elabora le proprie esperienze e vi coglie delle regolarità:
L’esistenza è, secondo l’Idealismo tedesco del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel, un accessorio dell’essenza, mentre, secondo l’Esistenzialismo di Søren Aabye Kierkegaard (filosofo, teologo e scrittore danese) l’esistenza (dal latino ex-sistere, ‘stare fuori’), significa stare fuori dal concetto, dall’essenza universale. L’esistenza non può essere posta in atto insieme all’essenza dal pensiero, bensì deve essere un dato indipendente dall’attività speculativa. Occuparsi delle essenze vuol dire occuparsi dell’universale, ma Kierkegaard, una volta appurato che essenza ed esistenza differiscono, sposta la sua attenzione dall’universale astratto (riguardante soltanto le entità logiche) all’individuale: il Singolo, l’individuo concreto. Kierkegaard capovolge completamente il significato che Hegel attribuiva al termine “concreto”. Concreta non è più la totalità, ma l’individuo mentre l’astrattezza sarà attributo dell’universalità.
L’esistenza, quindi, spetta proprio all’individuo. Come sosteneva già Aristotele (filosofo, scienziato e logico greco antico, allievo di Platone), essa non compete alle essenze universali (per esempio al concetto di “umanità”) perché sono soltanto delle entità logiche pensate ma non esistenti. L’esistenza per Aristotele compete solo all’individuo nella sua specifica concretezza, sostanza prima che indica le specie ultima. Il singolo uomo esistente si distingue dai generi (per Aristotele, “sostanze seconde”) a cui appartiene perché, pur godendo degli attributi generali della sua specie (per l’uomo, l’umanità), possiede anche aspetti particolari e irripetibili che lo caratterizzano individualmente, e che non si possono dedurre logicamente dalla sua essenza universale.
Interessante anche lo studio dello psicologo sovietico Lev Semënovič Vygotskij, secondo cui dall’infanzia i nostri processi di linguaggio e di pensiero seguono uno sviluppo genetico inquadrabile in quattro livelli:
Come già evidente, nella teoria di Vygotskij assumono un ruolo importante gli strumenti: gli esseri umani vivono in un ambiente trasformato dagli strumenti prodotti dalle generazioni precedenti; questi strumenti mediano i rapporti sociali.
Vygotskij distingue tra:
Il nostro sviluppo dipende fortemente dal contesto storico e socioculturale in cui viviamo e dal modo in cui possiamo padroneggiare gli strumenti culturali (processo interindividuale). Il nostro interesse per gli oggetti culturali e per le arti è un fenomeno che vede il suo inizio già nei primissimi anni della nostra vita, e vengono chiamati oggetti transizionali (ovvero sostituenti la figura materna), come propugnato dal pediatra e psicoanalista inglese Donald Woods Winnicott.
E’ interessare osservare inoltre come nella nostra crescita e invecchiamento si renda sempre più marcato il concetto dell’Io centro universale terreno in contrapposizione con il Rapporto individuo-comunità oggetto degli studi sulla Psicologia individuale comparata dello psichiatra, psicoanalista, psicologo e psicoterapeuta austriaco Alfred Adler: vi sono dei fattori che creano un senso di inferiorità dell’individuo verso la comunità; questi fattori sono di tipo organico, educativo, e social-economico. Da questo complesso interiore, vengono intraprese dall’individuo delle azioni di sviluppo atte a raggiungere, ad affermare, con mezzi più o meno diretti, la sua superiorità sugli altri; e come autoconvincimento, e come auto-confermazione, egli si allontanerà dagli altri, a delineamento di un mondo sempre più egocentrico e ovattato, più sicuro e lontano dalla possibilità di fallire nelle proprie ambizioni di confrontazione con gli altri. È in buona sostanza un auto-attrezzarsi per un totale distaccamento, risalto, e sopraelevamento sulla comunità.
Ci troviamo specialmente oggi in un’epoca “Human Centered”, e la Business Anthropology coadiuvata da un’altra scienza, la Human Experience, si pone l’obiettivo di tracciare in modo scientifico e analitico un essere umano che non è più soggiogabile, non è più manipolabile, non è nemmeno più appellabile con il termine di “consumatore” probabilmente, in quanto la tipologia di acquisti che effettua sono la naturale conseguenza di un attento studio del proprio io proiettato – verso l’esterno – al raggiungimento di un’Auto-Realizzazione sempre legata ad una personale magnificenza culturale di pensiero ed estetica.
Leonardo Da Vinci – Uomo vitruviano, 1490 circa – Venezia, Gallerie dell’Accademia
Ogni Touchpoint (sia on-line, sia off-line) della Customer Journey diviene luogo di indagine della Human-Customer Experience tramite l’osservazione partecipante, le interviste e tramite strumenti tecnologicamente all’avanguardia e soluzioni software di ultima generazione (per rilevare parametri quali i movimenti oculari, l’attività cerebrale, la conduttanza cutanea ed altri indicatori biometrici legati allo stato emotivo e cognitivo delle persone), appannaggio dei principali Human Experience Research Lab al mondo fra i quali TSW. Questo per valutare esaustivamente e dettagliatamente ciò che le persone stanno realmente vivendo quando interagiscono con brand, ambienti e prodotti e loro rappresentazione mediatica. Lo stato dell’arte rende necessario anche il fatto di saper coniugare ed integrare all’interno di un approccio scientifico metodologie proprie delle scienze comportamentali, della psicologia cognitiva e delle neuroscienze con tecnologie di derivazione medicale.
I dati raccolti (psicofisiologici, qualitativi e quantitativi) vengono così in ultima fase valutati al fine di stabilire la qualità dell’esperienza utente analizzata nell’interazione con interfacce fisiche o digitali, di cui i risultati vengono poi rappresentati tramite indicatori auspicabilmente di facile lettura.
A questo punto il soggetto analizzato è diventato, in maniera totale, attore e artefice di una ricomposizione concettuale, estetica e funzionale del prodotto e della veicolazione mediatica verso di esso. Trattasi di una plasmazione dell’uomo verso il prodotto, e viceversa; una sorta di scambio di ruoli, quasi che il prodotto divenisse la rappresentazione concettuale, grafica, culturale e materiale del soggetto umano stesso. E’ importante assimilare il concetto di come la merce non sia priva di senso, ma anzi essa stessa possieda una storia come il singolo individuo: le merci sono oggetti che si raccontano e manifestano la loro “individualità”.
Soggetto umano, prodotto e brand hanno converso in un’unica entità, e piacevolezza, attenzione ed engagement, stato psicofisico sono parametri indicatori di questo concetto. Comprendere come presentare i propri prodotti, capire cosa viene ritenuto “bello, buono e giusto” in un determinato contesto socio-culturale è un compito urgente per le aziende, che evita loro di compromettere, sia dal punto di vista economico che di immagine, l’intero lavoro di collocazione dei prodotti sul mercato. Il Marketing Antropologico, è altresì uno strumento molto efficace per una Comunicazione Interculturale efficace, aiutando le aziende durante la comunicazione, la collaborazione e la negoziazione con individui di culture diverse.
Utagawa Hiroshige – Small Horned Owl on Maple Branch under Full Moon, periodo Edo giapponese “江戸時代 Edo jidai” 1603-1868 – Boston, USA, MFA Museum of Fine Arts
Così come dal sonno eterno si è formato il Big Bang, dal nulla vado personalmente a coniare un neologismo del Digital Marketing e della Human Experience, ossia “Human Experience Definer” (HED, si pronuncia /hɛd/)
Parafrasando il concetto che ermeticamente ho appena espresso, e che svela un nuovo brain nella filosofia del marketing, l’utente è e sarà sempre più una nuova figura chiave, attore arruolato dalle aziende per la definizione, tramite uno Human Experience Research Lab, di quali sono le richieste, di qual è la domanda vera, di qual è il progetto, di come approcciarsi alla realizzazione di quale prodotto, e con che funzionalità/design.
Gli HED saranno figure centrali e volutamente centralizzate, continuamente sottoposte a XP test ed interrogazione di sentiment relativamente a qualsiasi fase di ideazione, progettazione e design, realizzativa del prodotto, e presentazione/rappresentazione e veicolazione mediatica del prodotto, quest’ultimo il quale porterà quindi anche la loro firma. Parliamo in questo caso non solo di una creazione bidirezionale convergente ma altresì di una creazione bidirezionale antropocentripeta/centrifuga, ovvero una creazione Human Centered di tipo interrogativo centripeto da parte dei poli aziendali del brand verso gli HED, e di tipo assertivo centrifugo dal centro, gli HED, verso i poli. Il tutto veicolato sempre dagli Human Experience Research Lab.
Gli HED e gli Experience lab, daranno nuovo slancio ai brand e a tutte le figure professionali chiamate in causa, interne ed esterne all’azienda, anche in ambito artistico, nella creazione del Prodotto/Opera. Il comune denominatore e leitmotiv sarà una presenza costante parallela: l’Uomo del XXI secolo.