Abbiamo visto che il neuromarketing può essere d’aiuto in molteplici attività strategiche per le aziende a creare migliori strategie di comunicazione: prima fra tutte, utilizzando la misurazione delle risposte implicite e dei processi automatici degli utenti, oltre che precisando e rafforzando il ruolo del brand engagement, cioè i valori e le associazioni culturali associati alla marca.
Questi aspetti impliciti, cognitivi ed emotivi, influenzano le decisioni e i comportamenti di acquisto dei potenziali clienti. Il marketing è sempre stato attento alle risposte dei consumatori, misurando le loro preferenze e i loro comportamenti, ed è interessato a modificare i comportamenti d’acquisto e influenzare l’engagement degli utenti nei confronti di un determinato brand.
In questo articolo proveremo a rispondere a tre domande:
Erving Goffman, con il concetto di framing, ci permette di approfondire come le risposte ad uno stimolo possono essere drasticamente differenti a seconda di come viene comunicato un problema o del contesto all’interno del quale viene presentato (Goffman, Erving. 1974): la parola “frame” in lingua inglese significa “cornice”, ed indica il contesto all’interno del quale la persona è portata a prendere una decisione. Tale concetto può essere inteso a livelli diversi, dalla semplice presentazione linguistica e alla disposizione dell’ambiente fisico.
Lakoff, linguista americano esperto in scienze cognitive, dimostra come anche le parole semplici attivano certi frame, indipendentemente dalla razionalità e intenzionalità del soggetto.
“Ogni parola è definita rispetto a ciò che gli scienziati cognitivi chiamano frame… Ogni frame è attuato nel cervello da un circuito di neuroni. Ogni volta che un circuito di neuroni è attivato, è rafforzato.”
Con la richiesta fatta ai suoi studenti in una celebre lezione: “Non pensate a un elefante! Qualsiasi cosa facciate, non pensate a un elefante!” Lakoff evidenzia l’attivazione del circuito neurale automatico che mi crea il pensiero dell’elefante. Il frame è attivato e ho l’elefante il mente, anche se io ho l’intenzione consapevole di non pensarlo.
Cosa accade quando dobbiamo prendere decisioni che implicano la scelta tra diverse opzioni?
Kahneman e Tversky (1981) hanno dimostrato come sia possibile fare esperimenti su come i soggetti prendono le decisioni e analizzare i processi cognitivi impliciti che avvengono nella mente del decisore: tra cui la rilevanza dell“Effetto Framing”.
Consideriamo l’esperimento da loro proposto nel famoso caso del “problema della malattia asiatica”.
Siamo negli Stati Uniti, e una sconosciuta malattia asiatica ci si aspetta uccida 600 persone. Due possibili programmi alternativi sono stati proposti per combatterne le conseguenze:
Quale programma scegliereste?
Il 72% dei 152 soggetti utilizzati nella prova, sceglieva il programma A, manifestando una chiara preferenza per l’opzione con l’esito sicuro.
Lo stesso problema è stato proposto ad un altro gruppo di 155 soggetti con una formulazione diversa dei programmi d’intervento:
In questo caso circa il 78% dei partecipanti ha scelto il programma D, manifestando più propensione al rischio e non accettando la perdita.
Basta riflettere razionalmente per capire che le opzioni A e C sono identiche, come pure B e D, ma sono presentate “incorniciate” in modo che si attivano frame mentali diversi, che ne influenzano la scelta.
Continuando il ragionamento razionalmente, la teoria del valore atteso (cioè moltiplicando l’evento per la probabilità di ottenerlo) dimostra che non solo le opzioni A e B sono equivalenti, così come le opzioni C e D, ma tutte e quattro le scelte hanno lo stesso valore previsto: 200 vite salvate.
La presentazione delle differenti opzioni ha influenzato la percezione delle soluzioni e la successiva scelta e presa di decisione: modifica il focus attentivo sugli aspetti positivi piuttosto che negativi ha portato ad influenzare le scelte delle persone. Tale fenomeno, facente parte della teoria del prospetto, si riscontra anche sul meccanismo definito di “avversione alle perdite”. La motivazione dei soggetti ad evitare le perdite e nettamente superiore a quella di ricercare un guadagno.
A livello neuroscientifico De Martino, ricercatore italiano alla UCL, (2006) identifica a livello cerebrale i circuiti che si attivano nelle scelte dove sia propensione al rischio, nel caso di situazioni in cui sia evidenziata la perdita sicura.
Perché questo succede? Perché siamo propensi alla scelta sicura se presentate nel frame positivo? Che cosa succede nella mente delle persone durante le scelte?
Qui entra in gioco l’emozione, e le neuroscienze ci aiutano a capire le zone cerebrali coinvolte: l’amigdala e la corteccia orbifrontale mediale (De Martino, 2006).
L’attivazione dell’amigdala è sede dell’elaborazione di stimoli emozionali, per cui siamo automaticamente portati a evitare stimoli avversi e ricercare stimoli attraenti. Le persone che sono più capaci a controllare e bloccare le risposte emozionali hanno una maggiore attività nella corteccia orbitofrontale mediale: l’area capace di inibire l’attività dell’amigdala.
Questo articolo è un buon esempio di come le nostre decisioni sono spesso fortemente influenzate dal modo in cui le scelte sono presentate (“effetto framing”) e dai riferimenti impliciti culturali, ed evidenzia il ruolo degli aspetti emotivi e cognitivi, impliciti e razionali e del loro substrato cerebrale.
Creare un frame efficace significa fare abile uso di elementi comunicativi, simbolici che orientino le emozioni del pubblico in maniera da predeterminare l’accettazione (Engagement) prima ancora dell’analisi critica.
In che modo si possono presentare stimoli che attirino l’attenzione del pubblico? Ci sono delle variabili che influenzano il framing decisionale e fungono da “effetto esca”?
Lo vedremo prossimamente.
Bibliografia: