Meno personas, più persone

Ho comprato un pulsante gigante, come quelli dei quiz, da far suonare per ogni inglesismo non necessario. Buffo per chi ha fondato un’azienda che si chiama “TSW – The Sixth W”… o forse no?

 

Pochi giorni fa, durante un incontro con un cliente, sono stato preso in castagna.

Stavo raccontando di come stiamo provando, internamente, a semplificare un linguaggio spesso abusato da chi lavora nel digitale e che prende in prestito parole dall’inglese, storpiandole nella forma e cambiandone il significato. Paradossale se pensiamo che il corrispettivo italiano ha spesso il potere di trasmettere molto meglio concetti preziosissimi.

Vi faccio un esempio: quante volte nelle presentazioni avete sentito parlare di “target”? È questo che pensate siano i vostri clienti, un bersaglio a cui sparare? Perché non parlare di “persone di interesse” o meglio ancora “persone potenzialmente interessate”? Non sono bersagli ma esseri umani e ci interessano perché desideriamo davvero capire chi sono e prenderci cura delle esperienze che con noi potrebbero vivere, attraverso prodotti e servizi che possiamo ri-progettare meglio, insieme.

Persone potenzialmente interessate. Non è tutta un’altra cosa? E sono davvero tanti gli esempi che potrei fare. Un collega ripeteva come un mantra “meno post-it, più posti. Meno personas, più persone” e mai come oggi mi sembra una preghiera da invocare tutti insieme a gran voce. Amen!

Non servono i post-it se non ci sono posti per accogliere aziende e persone e rimetterle in comunicazione diretta, in ascolto reciproco; non abbiamo bisogno di personas, prototipi verosimili e completamente finti, quando possiamo coinvolgere le persone reali.

Caliamo le maschere, semplifichiamo, torniamo all’essenza. “Se non lo sai spiegare in modo semplice, non l’hai capito abbastanza bene”, diceva Albert Einstein. Ecco, facciamo allora lo sforzo di comprendere meglio, di cogliere il nocciolo e trasferirlo così com’è, senza fronzoli.

Allora dov’era il mio errore, durante quella riunione? Alla base probabilmente: TSW – The Sixth W.

Un acronimo, tre parole inglesi. Pensa un po’, il bue che dice cornuto all’asino. Ma voglio spiegarlo a chiunque si troverà qui a leggere queste righe e a chiunque mi prenderà nuovamente in castagna (perché succederà ancora, è inevitabile): sì, sto sradicando inutili inglesismi e sì, il nome dell’azienda che ho fondato 25 anni fa è un acronimo che nel tempo ha trovato il suo vero significato e che oggi sta per tre parole inglesi che in realtà sono una sola, la sesta W, il nostro “WITH”Una nuova W che ci siamo presi la licenza di aggiungere al noto concetto delle cinque W del giornalismo.

Abbiamo scelto questo nome perché crediamo nel valore di fare le cose “insieme”, sedendoci intorno al tavolo insieme alle aziende e ai loro clienti per provare a mediare una riconnessione. Lo abbiamo scelto in inglese – ma senza storpiare o cambiare di significato – perché crediamo talmente tanto in questo progetto da volerlo portare nel mondo, facendolo conoscere nella sua essenza usando una lingua che il maggior numero di persone possibile possa comprendere.

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Perciò, se mi sentirete bandire gli inglesismi (ho persino comprato un pulsante gigante, come quelli dei quiz, da far suonare in ufficio per ogni parola che in italiano avrebbe potuto trasferire maggior valore) e se penserete – giustamente, aggiungo – che io per primo ho dato il morso alla mela, beh avrete ragione. Ma adesso ne conoscete il perché.

29 luglio 2022 Christian Carniato

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TAG: UX e UI experience design The Sixth W approach