Come pensiamo, cosa ci emoziona, cosa ci fa stare meglio
Siamo all’inizio di una rivoluzione.
Fino ad oggi il marketing è sempre stato un marketing di prodotto. Un marketing che ha sempre lavorato sulla componente commerciale del servizio o del prodotto, lasciato da solo a scaffale. Lasciato da solo in una pagina di prodotto; lasciato da solo perché rivestito di un packaging più o meno attraente.
Ascoltare e osservare non è facile perché siamo immersi in un contesto in cui non è più la scarsità di informazioni a impedire scelte consapevoli, semmai è proprio il sovraccarico informativo a comportare la necessità di scegliere quali informazioni leggere, come inquadrarle, come collegare i dati.
Ascoltare e osservare, inoltre, non è facile perché produce una differenza tra un prima e un dopo: una volta preso atto delle verità che avvengono quotidianamente nella relazione tra un brand e i suoi clienti, non si può più ignorarle.
La rivoluzione consiste quindi in questo: il marketing sta diventando sempre più un marketing delle esperienze. Non è più soltanto la componente di prodotto o di servizio, ma è sempre di più la componente esperienziale che guida le nostre scelte e i nostri desideri da consumatori.
In fondo è sempre stato così: tutte le attività di brand management sono volte a ispessire la componente immateriale della marca, la sua capacità di essere un dispositivo semiotico, la sua capacità di rappresentarci anche attraverso le nostre scelte di consumo.
Marketing delle esperienze significa scegliere anche per la qualità dell’esperienza che quel prodotto o servizio regala ed è per questo che le aziende che prospereranno saranno quelle che metteranno al primo posto le esperienze che offrono ai loro clienti.
È vero che ascoltare e osservare non è facile, ma oggi sappiamo qualcosa di più sull’essere umano. Sappiamo per esempio interpretare cosa ci emoziona, decodificare cosa pensiamo, tradurre cosa ci fa stare meglio: in TSW applichiamo questo approccio da tanti anni, ma non con un intento estrattivo. Il nostro non è l’intento di chi osserva dal buco della serratura, di chi in un angolo oscuro raccoglie dati.
Al contrario, i nostri sono luoghi aperti, luminosi, di compartecipazione e di collaborazione; luoghi in cui i brand e le aziende possono incontrare spontaneamente e disinteressatamente chi consapevolmente sceglie di donare un’esperienza, di mettere il proprio vissuto nelle mani di chi quella esperienza prenderà in custodia e accudirà.
Molte aziende lavorano sull’acquisire nuovi clienti, ma non tante aziende applicano in maniera strutturale e continuativa tutte le leve dell’ascolto nel migliorare la relazione con i clienti. È vero: esistono i programmi di loyalty, si fa il conteggio dei reclami e dei resi, qualche analisi di tipo RFM sui dati di prima parte ci dice quali sono i clienti più fedeli.
Ma non tutte le aziende applicano in maniera continuativa e costante l’ascolto alle esperienze che i loro prodotti e servizi offrono ai loro stessi clienti.
E ancora meno progettano queste esperienze insieme alle persone che le vivranno.
Ciò che noi facciamo in TSW è proprio questo: consentire alle aziende di progettare e costruire e migliorare esperienze con chi le farà proprie. Facciamo degli esempi:
Questi esempi raccontano alcuni campi di applicazione della capacità, o meglio della volontà, di applicare l’ascolto e la ricerca ad ogni punto di contatto tra la marca e i suoi clienti, che si tratti di un sito web, di una vetrina, di un packaging o di uno spazio retail.
Abbiamo a disposizione un ventaglio molto ampio di discipline che studiano l’uomo, da quelle più propriamente neuroscientifiche (come negli esempi di sopra) a quelle legate alla psicologia del consumo, all’osservazione etno-antropologica, dalla linguistica alla semiotica, dal design all’ergonomia.
L’elemento di base è sempre lo stesso: progettare insieme alle persone.
E il requisito indispensabile è soprattutto uno: tempo, attenzione e cura.
E magari un grande tavolo di legno.