Le Olimpiadi sono state rinviate, i principali campionati sono sospesi e le competizioni che hanno ricevuto il nullaosta alla graduale ripresa – Coppa Italia e Serie A in primis – si stanno svolgendo a porte chiuse: la pandemia non ha certamente risparmiato l’industria sportiva, travolgendo un settore in cui l’assembramento allo stadio è parte fondante della customer experience.
“No assembramento, no party”, per dirla alla George Clooney con drink in mano. Ma quanto può resistere lo sport senza pubblico dal vivo? In che modo le società sportive possono ridisegnare l’esperienza di giocatori e tifosi per tararla sul nuovo contesto post lockdown?
Ogni società sportiva ha fondamentalmente tre fonti di ricavo: la vendita dei diritti televisivi, le sponsorizzazioni e la vendita dei biglietti per l’evento. Delle tre fette, la più grande è data dai broadcaster: basti pensare che, guardando agli ultimi 5 anni, il valore totale dei diritti sportivi venduti nel mondo si attesta intorno ai 50 miliardi di dollari.
Non è difficile dedurre come il lockdown e l’annullamento degli eventi fisici abbiano impattato in maniera drammatica sull’intera tripletta: per le principali squadre si registrano ad oggi mancati incassi a sei zeri ai botteghini; a destare preoccupazione sono anche i contratti con sponsor e broadcaster, che rischiano di saltare se le società non saranno presto in grado di definire nuove modalità di coinvolgimento ed esposizione dei propri fan.
La prima reazione del mondo dello sport ha visto il settore muoversi pressoché all’unisono nella ricerca di nuovi strumenti per il coinvolgimento dei fan, con l’obiettivo ultimo di capitalizzare il picco nel consumo dei media che durante il lockdown ha investito tutti i canali.
Il vuoto lasciato dalla sospensione delle competizioni dal vivo è stato quindi presto colmato da un ampliamento dei contenuti on-demand messi a disposizione dai principali broadcaster sportivi: da ESPN a Fox Sports, sono stati trasmessi match storici, video d’archivio e documentari, competizioni di nicchia mai andate in onda, nel tentativo di tenere collegati gli utenti.
Se questa reazione ha messo da un lato (momentaneamente) al riparo i broadcaster, come si stanno muovendo invece i club e le società sportive?
Lo ha riassunto Mark Tatum, Deputy Commissioner e Chief Operating Officer dell’NBA, in una recente intervista al World Economic Forum: “Abbiamo lanciato la NBA 2K Competition (n.d.r. la versione eSport del torneo) con i giocatori collegati in streaming dalle loro case. Abbiamo accelerato la produzione per anticipare l’uscita del documentario su Michael Jordan (n.d.r. “The Last Dance” su Netflix). Stiamo organizzando party virtuali sui nostri Social Media con giocatori ed ex-giocatori e stiamo trasmettendo ogni sera le partite che hanno fatto la storia – tutto questo per continuare a coinvolgere i nostri fan in questo periodo”.
L’intera intervista è disponibile qui.
Le parole di Mark Tatum offrono una bella panoramica di ciò che molti club hanno introdotto per sopravvivere in un contesto che sta completamente mutando forma: eSports, contenuti on-demand, nuove modalità di interazione virtuale.
Partiamo dagli eSports: coadiuvati dell’industria del gaming, molti sport sono passati dal reale al virtuale. I videogiochi ufficiali consentono ai fan di rivivere – dal divano – l’emozione dei loro sport preferiti, ma permettono anche di dare visibilità, seppur da un gioco, ai marchi degli sponsor.
Il vero salto di qualità lo hanno fatto però le società sportive che hanno colto negli eSports la possibilità di ridisegnare la relazione tra fan e giocatori: se già attraverso i social era possibile sbirciare nelle vite dei top player, i tornei online – da Fortnite a Call of Duty – hanno permesso ai tifosi di entrare virtualmente nei salotti degli atleti per fare squadra in un mondo parallelo, chiacchierando in cuffia con il proprio idolo come lo si fa col compagno di banco.
Una divertente ed efficace variante di questo trend ha visto i nostri vicini di casa sportivi della Benetton Rugby (TSW è a meno di un chilometro dal centro sportivo in cui si allena la squadra) sfidarsi a Fortnite in diretta sul canale Twitch di un giocatore, con i tifosi collegati per guardare gli atleti cimentarsi in una sfida senza palla ovale.
Un’attività che lega a filo doppio eSports e D2C, un trend che si sta diffondendo a ritmi esponenziali.
Meno noto dei modelli B2B e B2C, il modello D2C o “Direct-to-Consumer” accorcia le distanze tra brand e persone, eliminando ogni forma di intermediazione tra marchio e utente finale. Durante il lock down, molti club l’hanno adottato nella distribuzione di contenuti sportivi per tenere viva la relazione con i fan famelici di intrattenimento, accelerando ulteriormente il declino della tivù via cavo. Per farlo, si sono appoggiati a servizi OTT e più banalmente ai canali social proprietari divulgando contenuti inediti prepartita, organizzando dirette con i giocatori, riproponendo match storici o file d’archivio ancora non pubblicati.
Quanto questo boost nell’adozione del modello D2C impatterà sugli scenari futuri? Moltissimo. Lo switch verso contenuti on-demand su piattaforme di streaming di proprietà diretta dei brand o sui canali social non significa morte certa della TV come oggi la conosciamo, ma evidenzia chiaramente che qualcosa dovrà cambiare per rispondere alle mutate esigenze delle persone.
Esigenze che mutano e che creano spazio per innovazioni tecnologiche. Non a caso il terzo trend è legato alle nuove modalità di coinvolgimento dei fan: seppur più a rilento dei modelli D2C, anche la diffusione di tecnologie immersive è in aumento con l’obiettivo di ricreare l’esperienza dello stadio e del tifo in nuove forme. Se il pubblico virtuale visto durante la finale di Coppa Italia all’Olimpico non ha del tutto convinto, in Giappone c’è chi già lavora a una nuova applicazione per far sentire – letteralmente – il proprio tifo anche dal divano: si tratta di “Remote Cheerer powered by SoundUD” e consentirà agli spettatori di sostenere la squadra ad alta voce da remoto; i messaggi registrati dal divano verranno poi gestiti e trasmessi in contemporanea dagli altoparlanti degli impianti sportivi. Le possibilità sono infinite: dalla realtà aumentata avanzata agli effetti visivi, ridisegnare l’esperienza di visione delle gare da casa non è più un optional.
Se da un lato ci sono i tifosi, fortemente sgomenti per l’impossibilità di assembrarsi allo stadio, dall’altro spesso ci si dimentica degli atleti: quanto l’assenza di tifo impatta sulle loro performance? Difficile a dirsi.
Ciò che però è possibile fare è ragionare su come un ripetersi del lock down possa non necessariamente significare una totale sospensione degli allenamenti. Abbiamo parlato di eSports come strumento per il coinvolgimento dei tifosi, ma una loro applicazione può esistere anche in ambito ricerca. Come? Utilizzando le competizioni virtuali (un torneo di PES? Una partita a COD?) per ricreare condizioni stressanti e allenare gli atleti professionisti a gestire il livello di attivazione con l’obiettivo ultimo di applicare la generalizzazione della risposta allo stimolo anche sul campo. Già nel 2014, Emmen e Lampropoulos pubblicavano uno studio scientifico su come si potesse utilizzare il sistema nervoso e la frequenza cardiaca (biofeedback), per modificare la difficoltà di un gioco arcade (Pong) ed insegnare ai giocatori a controllare il loro livello di stress in condizioni sfidanti. Un allenamento da remoto, che probabilmente unisce l’utile al dilettevole.
Continuerà ad esistere, continueremo a tifare, ma cambieranno le modalità perché stanno cambiando le abitudini delle persone. È in questi momenti di trasformazione che acquista più che mai valore saper ascoltare: sono i tifosi a poterci dare le risposte, ancor prima che a noi vengano in mente le domande. Servono “solo” le capacità e gli strumenti giusti per ascoltare e disegnare esperienze nuove, costruite insieme e per le persone.
Emmen, D. H., & Lampropoulos, G. (2014). BioPong: adaptive gaming using biofeedback. Creating the Difference, 100.