Il packaging di un prodotto influenza le nostre decisioni di acquisto?

Perché il packaging design di un prodotto è importante in fase di acquisto? Cosa influenza il nostro processo di decision making?

Per rispondere a queste domande, abbiamo scelto di condurre uno studio sulla percezione del concetto di biologico, a partire dalle confezioni di pasta in vendita nei supermercati, invitando le persone a partecipare ad un test.

L’approccio che caratterizza TSW prevede il coinvolgimento diretto delle persone (in questo caso tramite un test) al fine di comprenderle in profondità, rivelandone opinioni, attitutidini e cercando di creare esperienze in grado di rispondere alle loro aspettative.

Dal nostro studio emerge quanto il packaging sia un elemento chiave nel determinare quale confezione, a parità di tipologia di prodotto, finirà nel nostro carrello.

Il nostro obiettivo però non è solamente mostrare come un’azienda possa arrivare a creare un packaging in grado di veicolare i valori desiderati ma anche quale impatto possa avere ignorare quelli che ormai rappresentano dei veri e propri codici a livello visivo.

 

Il processo di decision making: cosa succede quando prendiamo una decisione?

Il nostro cervello prende mediamente 35.000 decisioni consapevoli al giorno (Sahakian e LaBuzetta (2013)). Approssimativamente una scelta consapevole ogni 2 secondi. È evidente però che esistano scelte primarie (più rilevanti) e secondarie (scelte marginali). Ad esempio, ci si aspetta uno sforzo maggiore nella ricerca di soluzioni a quesiti come “scelgo se investire i miei risparmi in azioni Apple” rispetto al più semplice “Non so se a pranzo mangerò un panino o una piadina”.

Ciascuna di queste scelte però, indipendentemente dal suo impatto nella nostra vita, comporta da un punto di vista cerebrale un dispendio energetico causato dal tentativo di prevedere tutte le possibili conseguenze della nostra decisione.

Ciò che ha effetto sulla mole di questo dispendio energetico è la quantità di conseguenze che si prendono in considerazione. Pensando al nostro esempio, è ovvio che le conseguenze di pranzare con un panino saranno minori di quelle a cui si andrebbe incontro investendo i propri risparmi.

Nel nostro studio, ad essere prese in considerazione sono le scelte secondarie: in altre parole, il panino del nostro pranzo (ma anche la scelta di una confezione di pasta biologica al supermercato come vedremo tra qualche riga).

 

Economia mentale: cosa fa il nostro cervello per semplificare il processo decisionale

In una condizione utopica ottimale potremmo processare interamente gli stimoli, prendendoci tutto il tempo necessario per analizzare le infinite variabili delle nostre possibili decisioni.

Purtroppo, l’alto numero di decisioni che ci troviamo affrontare nel quotidiano ha reso impossibile questo tipo di approccio, rendendo invece necessaria un’alternativa fisiologicamente sostenibile – quindi meno dispendiosa – per rendere più veloce e semplice il processo decisionale (per affrontare la tematica in modo più leggero consigliamo due video sulla differenza tra decisioni importanti e marginali di Sheldon Cooper).

Ecco quindi che alcune valutazioni – come in generale quelle legate al cibo – devono essere effettuate secondo modelli semplificativi: il nostro cervello crea dei modelli (aspettative) che rendono più facile la scelta (Chang e Safety, 2011), anche a costo della soddisfazione totale.

Arriviamo dunque al concetto di economia mentale: il cervello, per sopravvivere, si adatta e crea mappe o schemi mentali che generano scorciatoie mentali.

Maggiore è la coerenza tra le nostre aspettative (e quindi il modello mentale) e l’oggetto del nostro interesse (quindi lo stimolo), più probabile sarà la decisione e minore il tempo necessario per prenderla.

Non solo: come dimostra lo studio di Kiani et al 2014 saranno anche minori i dubbi che ci porremo sulla scelta (quindi sulla possibilità di cambiarla). Per dirlo in altri termini, meno tempo impieghiamo per scegliere e più saremo sicuri della decisione presa.

Questa tematica è stata sviscerata e discussa in ambito scientifico tanto da valere il premio Nobel per l’economia a Richard Thaler nel 2017. Ma come si riflette nel nostro quotidiano?

 

Prodotti biologici: quale packaging di pasta comunica meglio?

Abbiamo condotto uno studio sulla percezione del concetto di biologico a partire dalle confezioni di pasta per spiegare come cambiano le nostre scelte in funzione della percezione, ossia in funzione di tutti quei meccanismi che (a nostra insaputa) vengono chiamati in causa nel momento in cui andiamo al supermercato a fare la spesa.

Abbiamo selezionato 3 marchi italiani e 3 marchi internazionali della grande distribuzione e 3 brand di rilievo nel mercato della pasta che offrono lo stesso formato di pasta (penne) biologica (non integrale) e li abbiamo comparati con altri 3 brand non biologici.

Ecco i 9 marchi di pasta biologica analizzati:
Pasta Bio

Abbiamo quindi invitato le persone a partecipare ad un test che prendesse in considerazione sia le loro risposte implicite che esplicite (per un dettaglio).

L’analisi ci ha portato a comprendere (tra le altre cose) che:

1)      Quando si parla di biologico si vanno a stimolare anche il concetto di salutare e di italiano. Sono tematiche che per le persone risultano più affini a livello di schemi mentali, anche più del concetto di “naturale”, che potrebbe considerarsi invece un’associazione di pensiero più corretta delle precedenti. Questo è un classico esempio di “costo” di una scorciatoia mentale: è chiaro che biologico non significa necessariamente italiano; tuttavia, un prodotto con un packaging che ad esempio evidenzia la provenienza 100% italiana delle materie prime verrà riconosciuto più velocemente come biologico.

2)      Nonostante tutti indichino come necessario l’Euro-leaf (simbolo che costituisce l’unica garanzia di rispetto dei processi biologici), nessuna delle persone che hanno partecipato al test si è soffermata sulla presenza di questo elemento nei primi 3 secondi di interazione con la confezione di pasta. In altre parole, nessuno ha processato (o ricercato attivamente) quello che è ritenuto essere l’unico reale indicatore di “biologico” per un prodotto. Di seguito le heatmap che lo evidenziano.

Pasta Biologica3)      Le persone usano un pattern visivo per identificare agevolmente i prodotti biologici. Significa che il nostro cervello si aspetta che il concetto di biologico venga rappresentato attraverso un particolare insieme di elementi visivi cromatici. Solo in un secondo momento prende in analisi le scritte e i simboli presenti sulla confezione. Uno schema confermato dalle risposte fornite dalle persone, che hanno identificato immediatamente come prodotti bio quelli con un packaging che meglio rispecchiava il loro pattern visivo.

Considerando proprio questo terzo punto, abbiamo quindi analizzato i packaging che meglio hanno comunicato il valore di biologico e utilizzato i pattern visivi che li caratterizzavano per modificare le confezioni che invece non sono riuscite a veicolare il concetto con la stessa immediatezza.

Non solo: volendo essere sicuri di aver identificato un pattern visivo realmente impattante, abbiamo anche modificato le confezioni di 3 brand che producono linee di pasta non biologica.  L’ipotesi era che se anche in questo caso le persone avessero classificato il prodotto come biologico (nonostante scritte e simboli dicano tutt’altro) saremo stati in grado di dimostrare l’importanza percettiva derivante dal packaging.

Giudicate voi stessi.

Pasta BiologicaPasta biologica

Packaging design: il più efficace per la percezione del prodotto

I risultati del test dimostrano come il packaging sia un elemento fondamentale nella rappresentazione mentale del prodotto. La sola modifica di alcuni elementi cambia completamente la percezione di un prodotto perché lo rende più vicino alle aspettative di un potenziale cliente.

La maggior parte delle scelte in un contesto come quello del supermercato derivano da bias cognitivi. Nel nostro caso specifico, un packaging che vuole comunicare valori di un prodotto biologico si dimostra particolarmente efficace se utilizza un determinato pattern: tonalità di verde, affiancate ad una tonalità di beige, in sostituzione al bianco, e la presenza del brand nella versione riadattata in verde.

La presenza della scritta «Bio» o la presenza del simbolo Euro-leaf non sembrano condizionare l’effettiva percezione, ma sono fattori che entrano in gioco solo quando, una persona fortemente determinata, processa cognitivamente le informazioni.

E anche se i consumatori acquistano “percorrendo” dei pattern mentali consolidati, il contesto continua ad influenzare l’esperienza di acquisto di un prodotto e il portato valoriale di un packaging. Ci basti pensare alle confezioni dei prodotti che vediamo all’interno dei negozio specializzati in alimenti biologici o alla forte riconoscibilità dei packaging di brand leader di mercato.

 

Con le persone per migliorare la qualità della loro esperienza

È evidente che nelle scelte di come strutturare un packaging ci siano diversi elementi rilevanti e non necessariamente legati al prodotto. Il nostro obiettivo, come TSW, non è quello di giudicare l’operato delle aziende, ma quello di portare, a questi tavoli decisionali, le esperienze delle persone e i loro desiderata. Il nostro obiettivo è mostrarvi come, con le persone, si possa arrivare ad offrire un servizio e un prodotto più in linea con le loro aspettative.

Solo in questo modo riusciremo a migliorare, giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, la qualità della loro esperienza. Così facendo, le 35.000 decisioni consapevoli al giorno diventarenno molto più semplici da prendere.

 

21 febbraio 2019 Christian Caldato
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