La collega Martina, nel suo ultimo contributo, ci ha lasciato dicendoci che la fruizione di contenuti online ha uno span attentivo davvero frugale. Sono infatti lontani i tempi, se mai ci sono davvero stati, di uno slow surfing, riflesso di un tempo in cui il web offriva meno contenuti, meno permeanti della nostra quotidianità. Oggi siamo talmente sovraesposti a contenuti digitali e visivi da esserne quasi immuni.
Quando si crea una strategia di comunicazione, ci si imbatte quindi in una serie di scelte che vanno motivate e prese con cognizione di causa. Ecco quindi che, se da una parte un elemento di stacco premia l’allocazione di risorse attentive, dall’altra la coerenza comunicativa e la riconoscibilità premiano l’associazione di un contenuto al suo brand. È proprio per questo motivo che, conoscere l’obiettivo prima del lancio di una campagna social, diventa di primaria importanza.
C’è un paragone che mi è sempre piaciuto tra corpo umano e computer, seppur con le dovute limitazioni di un paragone così azzardato. Il cervello può infatti essere visto come una scheda madre dove il processore (CPU) è la materia grigia; la RAM è rappresentata dalla memoria di lavoro, mentre la memoria a lungo termine diventa in tutto e per tutto il nostro hard disk. Perché porto all’attenzione questa similitudine? Perché, proprio come il processore di un computer ha una sua “velocità” di base, il cervello ha un suo stato basilare di costante attività. Quando siamo impegnati in un particolare compito, le risorse aumentano e se qualcosa colpisce la nostra attenzione, essa funge da catalizzatore, proprio come un processore può avere un “boost” temporaneo, un fugale overclock che alloca maggiori energie in un determinato task. Il corretto equilibrio tra riconoscibilità e salienza permette quindi di massimizzare il risultato desiderato. Per esempio, in una campagna social, permettendo ai contenuti di essere processati a basso costo energetico (cosa che piace molto al nostro cervello) e di essere al contempo salienti a sufficienza per non essere solo “un altro swipe”, come tanti altri.
La conoscenza del funzionamento del cervello, del modo in cui ragioniamo e agiamo di conseguenza, è fondamentale per ideare, progettare ed infine testare prodotti, campagne ed esperienze. Per questo motivo, sempre più spesso proponiamo e ci viene richiesto il ricorso ai test IAT (Implicit Association Test) e BARTT (Brand Association Reaction Time Task). Questi test riescono a indagare in modo oggettivo e scientifico le associazioni implicite ed esplicite che ognuno ha nei confronti di un brand, prodotto, creatività statica o dinamica. Le associazioni implicite sono il cuore di questi test ed è un’informazione che possiamo derivare attraverso l’analisi dei tempi di reazione. Minore è il tempo tra la comparsa del valore e la risposta delle persone, maggiore è la forza associativa implicita che attribuiamo a quel valore rispetto all’oggetto in analisi. Contestualmente, la risposta “sì” oppure “no” rispetto all’associazione di un valore all’oggetto in questione, ci fornisce un secondo layer di informazioni, in questo caso, esplicito.
Il tempo rappresenta una costante nella disciplina delle neuroscienze. Lo abbiamo, ad esempio, appena visto nel caso della velocità di reazione nel fornire una risposta. Ci sono tuttavia altri metodi in cui i tempi giocano un ruolo cruciale nel comprendere le dinamiche cerebrali. Mi riferisco in particolare agli ERP, i potenziali evento-correlati (Event-Related Potential). Come si può evincere dal nome, gli ERP sono un particolare paradigma applicabile al segnale elettroencefalografico (EEG), che permette di mappare determinate attivazioni cerebrali in relazione a un evento specifico. Senza entrare eccessivamente nel dettaglio, un esempio è rappresentato da ogni semplice evento visivo, la cui comparsa elicita una risposta nella corteccia visiva primaria. Una risposta che ha tempi e caratteristiche ben definite e precise.
Viene da chiedersi in che modo, tuttavia, questa tecnica ci potrebbe tornare utile. Sappiamo, per esempio, dalla letteratura scientifica che c’è un particolare ERP, chiamato N170 che viene sistematicamente rilevato in risposta a stimoli familiari come parole, volti e oggetti alla cui esposizione siamo particolarmente abituati. Giusto per dare un significato alla sigla, significa che il cervello ha mostrato, in una determinata area, un picco negativo (N), mediamente a 170 millisecondi dopo la comparsa dello stimolo (170). Sappiamo quindi che il processing visivo e riconoscimento di un oggetto familiare impiega 170 ms. dalla sua comparsa. Tuttavia, il riconoscimento visivo di una parola, non sottende che essa venga anche processata da un punto di vista semantico e quindi di significato. Dobbiamo aspettare i 400 millisecondi per trovare un nuovo picco negativo a indicare che la parola vista, è stata anche compresa da un punto di vista lessicale/semantico. E la sintassi? Per quella ci vuole ancora più tempo, inizia a 600 e prosegue fino a oltre il secondo, questa volta con una polarità positiva. Per questo articolo mi fermo qui, ma se qualche lettore appassionato volesse approfondire, consiglio vivamente la pubblicazione di Steven Luck del 2014.
È facile capire come la comprensione delle meccaniche e tempistiche di comprensione di uno stimolo, sia esso visivo, uditivo o multisensoriale, sia di cruciale importanza nell’ideazione, progettazione ed esecuzione di una qualsiasi creatività, contenuto, campagna social e chi più ne ha più ne metta. La conoscenza è potere, potere di fare bene, potere di fare con cognizione di causa.
Riferimenti bibliografici
ERP: Luck, S. J. (2014). An introduction to the event-related potential technique. MIT press.
N170: Bentin, S., Allison, T., Puce, A., Perez, E., & McCarthy, G. (1996). Electrophysiological studies of face perception in humans. Journal of cognitive neuroscience, 8(6), 551-565.
N400: Kutas, M., & Federmeier, K. D. (2011). Thirty years and counting: finding meaning in the N400 component of the event-related brain potential (ERP). Annual review of psychology, 62, 621-647.
P600: Osterhout, L., & Holcomb, P. J. (1992). Event-related brain potentials elicited by syntactic anomaly. Journal of memory and language, 31(6), 785-806.