Come combinare le attività di ascolto e analisi per migliorare le esperienze delle persone.
Ascoltare le persone è il fondamento del nostro approccio: ma come si può unire alle competenze dei nostri professionisti, maturate con lo studio, l’esperienza maturata sul campo? Oggi lo scopriamo accostando due attività che conduciamo con le nostre aree di ricerca e UX design e capendo la relazione che le lega: analisi esperta e test di usabilità.
Siamo sempre più proiettati in un mondo che ragiona per opposti polarizzati ignorando più o meno volontariamente che nel mezzo ci siano molte alternative. Per citare alcuni esempi: bianco o nero, vegano o carnivoro, destra o sinistra… Ma esistono moltissime sfumature di grigio, possiamo optare per una riduzione del consumo di carne ed esiste un suffisso centro-…
Sorge spontaneo porsi quindi la domanda: esistono sfumature intermedie anche tra due concetti come analisi esperta e test di usabilità? Ebbene sì: queste due attività per alcuni versi possono essere considerate agli antipodi, ma risultano complementari da un punto di vista funzionale.
Prima di tutto, ripercorriamo brevemente cosa sono queste due attività che riguardano l’esperienza utente, quella che chiamiamo quotidianamente User Experience/UX.
L’analisi esperta è quell’attività in cui ricercatori ed esperti di user experience si calano nei panni delle persone che fruiscono un dato prodotto o servizio, fisico o digitale, prevedendo e identificando le potenziali barriere di usabilità e i mancati punti di incontro tra offerta e reali desideri e bisogni degli utenti. In questo caso abbiamo quindi un contesto in cui le conoscenze pregresse e l’esperienza maturata da ricercatori ed esperti UX, si “calano” su un prodotto.
Prendendo in prestito una terminologia molto cara alle neuroscienze, possiamo definire questo processo “top-down”, dall’alto al basso per l’appunto: il cervello “decide” che qualcosa va fatto in un certo modo su logiche dettate da memoria e attenzione.
Tuttavia, bisogna considerare anche un altro aspetto: siamo parte di un mondo a trazione sensoriale, dove ogni interazione sociale, fisica, cognitiva è in parte guidata da stimoli esterni, che coinvolgono i nostri sensi e che generano un segnale anch’esso direzionato verso quello stesso cervello che “impartisce ordini”.
Abbiamo appena descritto i processi “bottom-up”, dal basso all’alto, dalla periferia al centro di elaborazione. Questo tipo di processo è la perfetta descrizione di ciò che accade durante un test di usabilità. Quest’ultimo, infatti, altro non è che un’attività di raccolta di stimoli esterni, provenienti dalle persone (che, nel nostro parallelismo, possiamo definire “organi sensoriali senzienti”). Esse, attraverso le loro esperienze e la loro interazione con l’oggetto dell’analisi, (sia esso un sito, un’app o un oggetto) sono in grado di mandare innumerevoli segnali ai ricercatori.
Perché dunque parlare di equilibrio tra analisi esperta e test di usabilità? Di “media” tra queste due attività anziché di “somma”? Perché non prendere entrambi i bagagli di informazioni e versarli senza interruzione di continuità in un calderone di insight e processi di redesign?
Perché siamo fallaci, come i nostri processi cerebrali. O meglio, siamo dotati di filtri che sono in grado da un lato di mitigare o anche inibire, dall’altro di enfatizzare, segnali, ricordi ed emozioni. Se prestassimo attenzione a ogni singolo stimolo sensoriale impazziremmo dopo pochi secondi. Se, al contrario, non ci lasciassimo guidare dai segnali esterni, saremmo degli elaboratori avulsi dal mondo esterno.
In altre parole: se non mitigassimo le informazioni provenienti dagli utenti durante i test con le conoscenze pregresse dei professionisti, dettate dalla formazione e dall’esperienza, avremmo una macedonia di modifiche e suggerimenti spesso soggettivi, tarati sul singolo, irrealizzabili e da non realizzare.
Se al contrario ignorassimo le preziose informazioni fornite dalle persone e ci concentrassimo solo sulle nostre conoscenze staremmo facendo lo stesso identico errore nel verso opposto: tenere conto di un solo punto di vista, aprioristico, soggettivo e presuntuoso.
Se Apple avesse dato retta esclusivamente ai suoi utenti, oggi avremmo dei MacBook Pro dotati ancora di uscita VGA, una dozzina di porte USB di tipo A e una mela illuminata che comporta maggior spessore.
Se Apple avesse ignorato i feedback della sua base clienti, tuttavia, avremmo avuto linee di computer che ignorano i bisogni delle persone. Anzi, a dirla tutta è purtroppo successo, in un caso: la linea di MacBook Pro lineup 2016 – 2020, che ha costretto gli utenti a girare con più adattatori che dita della mano (Apple MacBook).
L’equilibrio si è sintetizzato invece, nella nuova linea di MacBook Pro dal 2021 in poi, dove le logiche di business e design hanno incontrato le esigenze e i bisogni, stavolta ascoltati, delle persone: una varietà di porte più ampia, una tastiera meno delicata, un laptop più spesso che scalda molto meno, e altro ancora.
Torna sempre più imperativo il mantra latino “in medio stat virtus”, la virtù sta nel mezzo, nel delicato equilibrio, dunque, tra ciò che sappiamo o presumiamo di sapere e ciò che ci può sempre sorprendere e che evidentemente, serve che qualcuno ce lo dica in modo spontaneo e genuino.