“Good is never good enough”. Immaginiamo sia una citazione di qualcuno anche se Google non ci viene in aiuto per definire di chi, ma ormai è un mantra, titolo di molti libri dalle copertine sfavillanti erroneamente inseriti nel reparto “Psicologia” delle librerie.
Per noi, la massima “good is never good enough” è un modo di rappresentare il percorso evolutivo di un servizio offerto da TSW che funzionava già. E funzionava bene! Ma non abbastanza. Non almeno per tutti i contesti e le potenzialità che avremmo potuto/voluto coprire. Parliamo del BARTT, acronimo di Brand Association Reaction Time Task, lo strumento che ci permette di misurare (e rafforzare poi) le associazioni di marca, elemento primordiale nella relazione persone-brand e asset strategico imprescindibile per progettare e migliorare l’esperienza utente con il brand ancor prima che abbia inizio.
Le brand association sono connessioni mentali tra un brand e un concetto, pensieri che inconsciamente un marchio è in grado di evocare quando un cliente gli si approccia, come ad esempio “semplicità” quando si parla di Apple o “performance” se si parla di Nike. Queste “associazioni di marca” sono particolarmente strategiche all’interno di un’esperienza utente perché in grado di avvicinare, se positive, o allontanare, se negative, i clienti. Rappresentano, quindi, un’importante leva strategica che i brand hanno a disposizione per migliorare l’esperienza utente fin dai primi stadi.
Identificare e misurare l’intensità delle brand association è possibile: noi lo facciamo grazie al BARTT (Brand Association Reaction Time Task) e allo IAT (Implicit Association Test), cugino famoso da cui il primo strumento prende spunto per la logica di base e gli assunti scientifici che ne compongono le fondamenta.
Il “Brand Association Reaction Time Task” o BARTT è un test che ci permette di coinvolgere le persone e valutare l’intensità delle associazioni implicite che creano involontariamente e continuamente tra marchi, prodotti, payoff, ma anche valori (e.g., “sostenibilità”, “efficacia”, ecc.).
Per citare una canzonetta per bambini, per misurare un’intensità associativa di questo tipo, ci vogliono i millisecondi… e per misurare i millisecondi, ci vuole un software che lo faccia, e ce ne sono. Il problema che caratterizza queste piattaforme, tuttavia, è che sono ottimizzate per un uso laboratoriale, ideale per chi opera in università, ma limitanti per un utilizzo diffuso tramite web, pensato per una raccolta dati su larga scala e/o con una logica longitudinale, soprattutto se i partecipanti sono volontari coinvolti tramite campagne sponsorizzate e non attraverso panel provider.
È in questo senso affascinante quanto forse per certi versi paradossale, che la soluzione a questo problema provenga proprio dalla collaborazione messa in atto da TSW con l’Università di Padova.
L’unione dei due gruppi di lavoro ha permesso infatti la creazione di un nuovo strumento, costruito da zero, pensato ed ottimizzato con l’obiettivo di coniugare facilità di raccolta dei dati (eliminando ad esempio la necessità di plugin), con la solidità di uno strumento che non può permettersi errori, anche (e soprattutto) se nell’ordine dei millisecondi.
Sebbene possa potenzialmente apparire come un problema di semplice soluzione, le problematiche non sono trascurabili. Gestione della memoria, delle risorse dei diversi hardware, della connessione, delle periferiche e della flessibilità di uno strumento altrimenti monolitico hanno rappresentato una serie di ostacoli che sono stati individualmente superati tenendo sempre presente la necessità di non accettare compromessi che andassero a minare la solidità del dato finale raccolto.
Abbiamo chiesto a Michelangelo Vianello, Professore Associato di Psicologia dell’Università di Padova, il suo punto di vista sul lavoro svolto insieme.
Professore, qual è stato il valore aggiunto dato dalla collaborazione tra l’Università e una realtà come TSW?
La collaborazione tra Università e imprese è semplicemente essenziale. La ricerca applicata si deve necessariamente svolgere attraverso l’interlocuzione tra scienziati e professionisti. L’Università ne guadagna in praticità, le imprese ne guadagnano in efficacia. Protagora diceva: “La pratica senza la teoria è cieca, come cieca è la teoria senza la pratica.”Quali nuovi scenari di ricerca si aprono grazie a questa evolutiva?
Alcune ricerche dimostrano che il comportamento di acquisto è influenzato dai processi automatici che sono misurati dallo strumento messo a punto in collaborazione tra UNIPD e TSW. Il tema è tuttavia ampiamente dibattuto, e nello specifico devono essere identificate le condizioni nelle quali gli automatismi sono più importanti dei processi controllati e più consapevoli. Uno strumento per la valutazione delle associazioni automatiche permette di raccogliere dati preziosissimi per la ricerca.Cosa pensa di una realtà come TSW che porta le applicazioni della ricerca in un contesto di natura maggiormente commerciale?
La mia posizione su questo è chiarissima e netta, ma forse di parte: qualsiasi azienda o professionista che non basi il proprio operato sull’evidenza empirica si affida sostanzialmente al caso. In assenza di prove pubblicamente verificabili, quando alla proposta di un intervento ci si trova a rispondere alla domanda “Funziona?”, l’unica risposta onesta è “Non so”. Nella mia esperienza, tuttavia, questa risposta è data troppo di rado. Poi c’è una seconda categoria di professionisti, quelli che basano le proprie azioni sull’evidenza empirica e possono rispondere “Sì, funziona” circostanziandone le basi.
Per ricapitolare quindi: avevamo uno strumento che funzionava bene. Ne abbiamo creato uno che funziona meglio, permettendoci di espandere il potenziale d’uso del test a terreni e dinamiche finora inesplorate e che potranno fornire una fotografia continuativa e di facile accesso attraverso la mappatura delle forze di associazione valoriale. Un ulteriore strumento a nostra disposizione per progettare, insieme alle aziende e alle persone, esperienze migliori.