La settimana scorsa abbiamo parlato di processi automatici e risposte implicite, e di come questi processi legati al cervello primitivo delle persone possano influenzare la presa di decisioni anteriori all’acquisto, e più in generale il comportamento d’acquisto. Oggi ci concentriamo su come questi processi automatici influenzino le percezioni che le persone hanno dei brand con cui vengono a contatto, a partire dallo Zero Moment of Truth.
L’applicazione delle neuroscienze alla psicologia del consumatore, e in particolare al branding, ha guadagnato popolarità nell’ultima decade. Gli investimenti in questo contesto sono cresciuti in modo esponenziale come evidenziato da Plassmann (2012). Il numero di articoli scientifici, le Google Hits e la nascita di nuovi istituti che si occupano dell’argomento ne sono una prova evidente e concreta.
Indubbiamente lo sviluppo tecnologico nel contesto delle neuroscienze e la possibilità di indagare in modo sempre più accurato diversi contesti ha permesso l’esplosione di quello che già da tempo era un ambito di interesse estremamente delicato per le aziende (Ariely & Berns, 2010). Comprendere le modalità di fidelizzazione del cliente attraverso il marchio costituisce un importante elemento di successo per una strategia aziendale. L’obiettivo di questo articolo è quello di spiegare come la psicologia di un brand influenzi di fatto l’utente, e come il neuromarketing abbia permesso di indagare questi processi.
Nel campo della ricerca pubblicitaria si è osservato come i cosiddetti meccanismi impliciti (o processi a basso coinvolgimento o di scelta automatica) possano intervenire in tutti i processi di interazione con un brand, partendo dalla percezione e memorizzazione fino al concreto comportamento d’acquisto. La scelta del prodotto-servizio avviene nella maggior parte dei casi senza un particolare coinvolgimento dei processi controllati e razionali.
Le ricerche di marketing tradizionale studiano i comportamenti e i processi consapevoli che gli individui riescono a riconoscere, ma tali tecniche non riescono a cogliere i processi automatici e paralleli legate alle emozioni, che nella maggior parte dei casi avvengono a livello inconscio e svolgono un ruolo determinante nella percezione di un brand.
Questa memoria implicita automatica si presta ad essere un sistema evolutivo necessario a sopperire all’enorme quantità di stimoli e scelte alla quale il nostro cervello è costantemente sottoposto. Secondo la “Dual Process Theory”, modello proposto da Daniel Kahneman, esistono di fatto due sistemi a livello cerebrale di potenziale attivazione:
System 1 and System 2 processing
Per comprendere il funzionamento facciamo un esempio. Il primo giorno di un nuovo lavoro ci pone sempre la questione della strada più adatta al raggiungimento della sede, quella più corta o meno trafficata. In questo caso entra in gioco il sistema 2. Abbiamo bisogno di unire tutte le informazioni per tentare di ottimizzare la nostra scelta. Una volta consolidata questa decisione, il cervello eviterà di chiedersi ogni mattina quale strada fare per andare a lavoro e di conseguenza la scelta delle strade passerà attraverso meccanismi automatici, ovvero sarà di competenza del sistema 1.
Lo stesso ragionamento è riconducibile alla scelta di un prodotto. Il brand engagement e le decisioni d’acquisto sono legate a tracce emozionali radicate e automatiche, senza la consapevolezza del consumatore: i processi neurali automatici a basso coinvolgimento predispongono poca attenzione consapevole e la creazione di associazioni libere, memorizzazione automatica e istintiva connessa a queste associazioni. Questo modello spiega perché, ad esempio, all’interno del supermercato ci dirigiamo sempre verso gli stessi prodotti, o verso le stesse marche che in qualche modo hanno soddisfatto le nostre richieste/esigenze in passato.
All’interno di un processo di preferenza e di un comportamento d’acquisto, le emozioni sono variabili attive e determinanti.
L’approccio del marketing emozionale utilizza gli strumenti delle neuroscienze per descrivere quali sono le emozioni dei consumatori durante l’interazione con i brand, creando nuovi modelli di ricerca integrati.
Nei primi anni del Duemila iniziano le ricerche di neuromarketing per indagare l’attività neurale in relazione alle preferenze dei consumatori riguardo i brand. Lo studio più famoso è quello condotto da Red Montague (McClure S., Montague M., 2004) che ha analizzato e studiato i comportamenti a livello cerebrale e di preferenza dichiarata dei consumatori, associati con le preferenze di due marchi molto noti: Pepsi Cola e Coca Cola.
Le ipotesi di ricerca erano le seguenti:
Il metodo usato è stato quello di correlare le risposte neuronali misurate con fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging) e le preferenze espresse dai soggetti e, in seguito, confrontare la preferenza dichiarata e l’attivazione neurale durante la degustazione delle bevande senza sapere il brand (blind test) e con la conoscenza del brand.
I risultati del confronto:
Dallo studio emerge che le aree cerebrali attivate durante la degustazione consapevole del brand della bevanda sono diverse rispetto a quelle attivate dai blind test. Ci sono due distinti sistemi neurali che generano nei soggetti le preferenze: quando sono i sensi a guidare gli individui nella preferenza della bevanda si ha un’attività cerebrale che coinvolge la corteccia prefrontale ventromediale che elabora le valenze edonistiche (Graziano M., 2010). Quando è noto il brand della bevanda il sistema neurale attivo coinvolge la struttura che regola la memorizzazione e la codifica della memoria episodica (ippocampo), la corteccia prefrontale dorsolaterale invece, si occupa del controllo cognitivo e della regolazione della memoria di lavoro (o di breve termine) ed entrambe le strutture sono coinvolte nei cambiamenti comportamentali.
La ricerca di Montague dimostra che i messaggi culturali relativi al brand influiscono sulle decisioni di preferenza dei soggetti, attraverso il coinvolgimento della regione dorsolaterale, della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, aree collegate alla valutazione di sé e alle emozioni piacevoli. I messaggi riguardo ad un brand condizionano le nostre preferenze al punto di influirne sulla piacevolezza percepita e possono aver un peso all’interno dei processi di preferenza e di comportamento dei consumatori.
Nonostante la simile composizione chimica dei due prodotti, i consumatori sono fortemente propensi verso la Coca-Cola quando la conoscenza del brand è causata dalla sua forza “culturale” in termini di soggettiva identificazione nella pubblicità della marca stessa (Babiloni F., Meroni V., Soranzo R., 2007).
Nei prossimi approfondimenti, cercheremo di indagare ulteriormente cosa permette di aumentare le probabilità di acquisto di un prodotto, e come funziona il processo decisionale.
Bibliografia