L’importanza del facilitatore nel comprendere il comportamento dei partecipanti e nella definizione di soluzioni migliorative per l’esperienza utente
Il test di usabilità valuta la qualità dell’interazione tra le persone e i prodotti, con l’obiettivo di identificare eventuali problemi o difficoltà d’uso e definire soluzioni per migliorare l’esperienza degli utilizzatori finali. Lo usability test prevede l’osservazione diretta del comportamento degli utenti durante l’utilizzo del prodotto, con l’applicazione di tecniche di registrazione e analisi dei dati, al fine di ottenere informazioni utili a progettare e ottimizzare l’esperienza.
Normalmente il test di usabilità è composto da un test plan che indica i task da far portare a termine al partecipante. Tale attività viene gestita da un facilitatore, l’esperto che conduce l’esperienza di test a fianco del cliente/prospect.
In assenza di un facilitatore al partecipante viene data in mano una lista di domande, e lui si limiterà a portare a termine il compito, senza che vi siano ulteriori possibilità di approfondimento. Al termine di questa tipologia di esperienza, avremo principalmente informazioni sul numero di task portati a termine e sui tempi necessari per completarli.
La presenza di un facilitatore introduce invece una serie di elementi legati al motivo per il quale è stato pensato il task. Il task presuppone una serie di passaggi per essere portato a termine. In questo scenario un buon facilitatore utilizza una logica ad imbuto. Partendo dalla domanda del test plan, si cerca di fornire un numero minimo di informazioni al partecipante, e mentre si vede la sua difficoltà salire, si introducono degli elementi facilitatori. Più elementi sono necessari, e meno significa che l’esperienza possa considerarsi efficace.
La conduzione del facilitatore permette di mettere a proprio agio il partecipante e di evitare che lo stress, derivante dall’incapacità di portare a termine alcuni task, possa riflettersi anche su tutte le altre esperienze successive. Non è necessario lasciare il partecipante nella condizione di incapacità di portare a termine i compiti per dimostrare che non è stata creata un’esperienza all’altezza. A volte frasi come “normalmente chiederei aiuto” o “andrei a cercare su Google” sono sufficienti per farci capire che non siamo stati in grado di rispondere ai bisogni dei partecipanti.
Un’ulteriore accortezza che dovrebbe avere il facilitatore è quella di adattarsi al massimo alle esperienze naturali, per favorire un concetto di vicinanza alla realtà. Durante l’attività, il facilitatore non solo adatta l’ordine delle domande del test plan all’esperienza del partecipante, lasciandolo libero di seguire il flusso che gli viene più naturale, ma coglie l’attimo più opportuno per porre domande sui pain point che hanno generato il task.
In questi scenari, rendendosi conto di quanto possa essere rilevante capire quando e come intervenire, senza impattare negativamente sul test, l’approccio di TSW è quello di far condurre le attività da personale che, oltre ad essere esperto di tematiche di usabilità, è laureato in psicologia. Questa duplice competenza ci permette di garantire la qualità della relazione instaurata col partecipante e la capacità di approfondire le tematiche oggetto di indagine in modo adeguato.
Tutto questo si inserisce in una cornice di possibili attività che possono essere gestite in presenza fisica oppure da remoto. È chiaro che la presenza fisica, a fianco del partecipante, ci permette di entrare ad un livello di sintonia che non è accessibile da remoto. È però altrettanto chiaro che nel momento in cui ci sia necessità di condurre tempestivamente attività di test geolocalizzate in regioni (o stati) diverse tra loro, si può gestire l’attività da remoto. Raramente però, per quella che è la nostra esperienza e il nostro approccio, un test di usabilità, gestito da remoto senza la presenza del facilitatore, può arrivare a raggiungere risultati accettabili.
Non avere l’intermediario significa perdere di fatto la possibilità di approfondire quegli elementi, legati alla motivazione che sottende certi comportamenti, che costituiscono per l’azienda il bagaglio di informazioni che arricchiscono la conoscenza del proprio pubblico.
Nella definizione della metodologia più adatta non dobbiamo dimenticarci che l’elemento imprescindibile è l’esperienza reale dell’utilizzatore finale. La cosa più importante è saper dare alle persone la possibilità di esprimere i propri bisogni. Siamo noi ricercatori che dobbiamo rendere le nostre metodologie di ascolto più vicine ai bisogni degli utilizzatori, per condizionarli il meno possibile e per avere nel contempo dei dati solidi.